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Il ruggito di Zucchero per una festa della musica e del blues al Palasele di Eboli

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Il ruggito di Zucchero per una festa della musica e del blues al Palasele di Eboli

Quasi tre ore di show, dislocate nell’arco di tre atti in cui c’è una scaletta che tocca tutta la sua carriera. E’ questo il riassunto del “Wanted Italian tour 2018” di Zucchero che ieri ha fatto ballare ed emozionare il Palasele di Eboli nell’unica data campana

Quella del Palasele è una meravigliosa e straordinaria cornice. Quello di Zucchero è un vero e proprio ruggito fin troppo riconoscibile e destinato a rimanere indelebile nel tempo. Tutto il resto, invece, è emozione allo stato puro, gioia di vivere e di cantare una musica che da semplice accessorio di sottofondo si fa festa grazie al bluesman di Reggio Emilia che si confida e balla col pubblico elettrizzato.

Basterebbero già solo queste poche righe per descrivere il “Wanted Italia tour 2018” di mister Fornaciari che ieri ha fatto tappa ad Eboli con uno spettacolo suddiviso in tre atti che sembrano seguire il canovaccio di un opera teatrale. Il riferimento più lampante in tal senso è presente già all’inizio dello show, quando l’ingresso della band sul palco è seguito dall’apertura di un grande sipario color oro in grado di avvolgere la porzione posteriore dello stage e che, alla sua scomparsa, scopre un unico megaschermo a forma di cuore inserito tra svariati oggetti di scena messi alla rinfusa tra i membri della band. Volgendo lo sguardo a sinistra è facile che l’occhio si soffermi a scrutare una grossa impalcatura su cui campeggia il monito “In blues we trust”, mentre al centro è possibile rintracciare l’asta ed il microfono di Zucchero, subito imbracciati all’avvio dello show per dare voce e testo alle note del pianoforte di “Partigiano reggiano”.

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Zero chiacchiere e molti accordi: è questo il leitmotiv della prima parte dello spettacolo, in cui il cantante di Roncocesi esegue una dopo l’altra alcune delle canzoni che compongono la tracklist di “Black cat”, sua ultima fatica discografica di cui vengono riportate in scena le varie “13 buone ragioni”, il duo “Ten more days” e “Hey lord”, che costituiscono una prima manifestazione in serata del suo blues caldo e crudo, o le solitarie “Ci si arrende” eseguita su luci total yellow, ed “Un altra storia” che di titolo e di fatto dà avvio al racconto del secondo set musicale introdotto dai saluti di Sugar e dal suo: ” Si può anche ballare eh!”

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Detto fatto. Il pubblico si fa finalmente sentire assecondando con un massiccio battimani il ritmo dei violini di “Vedo nero” e gli effetti della tequila bum bum decantate in “Baila”, mentre successivamente decine di telefoni rivolti verso l’alto catturano la gabbia di luci bianche che avvolgono il Palasele sulle note de “Il volo” , e la voce bassa di Zucchero che sembra portarti direttamente sul delta del Mississippi quando ad essere intonata è “Iruben me”.

C’è spazio anche per quello che è definito dallo stesso artista emiliano il momento coitus interruptus in cui, chitarra alla mano, intona diversi “pezzi senza alcun raccordo e lasciati a metà quando mi va, come se fossimo a casa tra amici”. Arrivano una dopo l’altra le sere d’estate di “Blue” o le varie “Hey man” ed “Occhi”, cui si associano il fuori programma di “Donne”, assente nei live da decenni e totalmente improvvisata, e l’onnipresente “Miserere” che, complice il featuring virtuale di Luciano Pavarotti, è in grado di conquistare la seconda standing ovation della serata.

Nel mezzo ci sono tutta la schiettezza e la spocchia di Fornaciari che tra una critica al mondo social, (“Sto a Facebook come una cravatta starebbe su di un maiale”) ed una serie di elogi, con tanto di pugno alzato al cielo, al potere ed alla bellezza delle donne (“Non mollate mai…non ne vale la pena”), trova anche il modo di far salire ancora una volta il pubblico sulla sua personale macchina del tempo, su cui è facile incontrare  la “Sana e consapevole libidine” che salva il giovane dallo stress e dall’azione cattolica, il gallo funky in salsa blues brothers di “X colpa di chi?”, arricchita tra l’altro da un momento finale in stile country, oppure i soldati e le spose sopresi a ballare nel ritornello di “Diamante”, e le atmosfere ecclesiastiche introdotte dall’organo e dal ritmo di “Diavolo in me” che, prima del bis e di “Hai scelto me” con cui Zucchero si congeda lasciando il suo cappello sul palco, rappresenta la degna conclusione di uno show fatto di musica e note che per una notte creano un ponte immaginario tra i campi di cotone della Louisiana ed il Palasele di Eboli. Ed è questo, forse, il senso più grande di quell’ “In blues we trust”.

Foto e prefazione a cura di Francesco Celetta.

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