L’Associazione Zefiro porta il concerto di Natale a Licusati, nella chiesa San Marco Evangelista. Memorabile occasione per contemplare il ruolo della musica nell’esperienza umana
[ads1]Nella replica del concerto di Natale, dopo il consueto a Camerota lo scorso 25 dicembre, l’Associazione Zefiro immerge la chiesa di Licusati in un articolato omaggio alla musica come dimensione umana parallela, allegoria di situazioni e sentimenti, conflitti e armonie che attraversano l’esistenza. Il brano d’apertura, Una notte sul Monte Calvo nella versione di Rimskij-Korsakov, riannoda il senso finale che il direttore Pantaleo Cammarano ha pensato in occasione di questo nuovo incontro.
Occorre restare in quella dimensione parallela, la musica del concerto, per raccontare con una cosciente irresponsabilità critica l’epifania dell’ensemble Zefiro e il coro Kamaraton Cantus all’interno di una serata uggiosa e fredda.
Intrappolati così in questa musica le corde vocali si bloccano, i denti si stringono tra loro, le orecchie arrossiscono, le mani sudano e il cuore batte colpi inconsueti. La tensione della musica è tensione emotiva del pubblico, adrenalina che sale amplificando le sensazioni più forti, l’incalzante susseguirsi di sfumature sonore colora un contesto, una situazione, un effetto, una volumetrica percezione dell’esistenza umana.
Purificarsi. Ma farlo attraverso un percorso, vivendo un movimento da cui liberarsi per restare, metaforicamente per sempre, in una dimensione parallela, come l’allegoria musicale.
Seppur un caso, ma non lo è, vogliamo considerare Una notte sul Monte Calvo l’indice da cui partire per parlare del concerto di Zefiro del 4 gennaio: Monte Calvo è allegoria di un avvicinamento alla musica come massima espressione dell’uomo, creazione che supera qualsiasi percezione artistica, universale e unificante è allegoria di un contatto tra l’uomo e l’altro. In questo periodo, tra Natale e il nuovo anno, il concerto non può non suscitare riflessioni profonde e spirituali.
Se il furibondo danzare di streghe e demoni sul Monte Calvo rappresenta l’apoteosi del male, dove ogni notte il Diavolo cerca d’inghiottire anime che, trasformate in animali che vagano sulla terra, è nelle strofe finali del brano in cui possiamo recuperare quel senso di cui abbiamo bisogno per dimostrare che la musica non è solo spettacolo o intrattenimento, ma supera se stessa in quanto dimensione artistica e si fa (produce e realizza) condivisione umana.
I rintocchi delle campane in Una notte sul Monte Calvo segnano il passaggio dalle tenebre all’alba, dopo essersi consumata una notte tra assemblea e sabba di streghe e vampiri, il male torna a riposare travolto dalla luce. Un percorso verso la purificazione, che dal trambusto e dal delirio delle anime disperse e dannate (così chiaramente costruito dall’articolazione del brano), porta ad un quasi improvviso senso di serenità.
Poggiate le proprie ansie, i dubbi, le paure, le debolezze nelle note vorticose che stravolgono la normale percezione del contesto in cui ci si trova, s’intepreta ogni dettaglio in un invito a lasciarsi andare. Abbandonatosi così a questa musica, il Monte Calvo diventa esperienza soggettiva, interiore e poi artistica.
Esperito il suono del male, seguono la celebre Danza Ungherese di Brahms, proponendo l’alternanza di brani più vivaci ad altri con una straordinaria carica espressiva, come le Danze polovesiane di Borodin dedicate al Principe Igor, che riprende le suggestioni della musica di Rimskij-Korsakov, in particolare nella connotazione drammatica e ricca di sfumature, dettagli, sottofondi, esasperazioni tonali: in questo brano interviene il poliedrico coro di Camerota, inserendosi nel magma musicale con un’empatia vocale che colora, “addensa” il suono. Eppure sembra confondersi con la varietà degli strumenti musicali in scena che concorrono a descrivere una tappa del concerto meno serena, ma più cogitata e conflittuale.
Il continuo passaggio tra momenti dialettici ad altri più sentimentali, come nel caso dell’Overture de Lo zingaro barone, operetta di Strauss, porta verso l’estasi, intesa come uscita da sé: Il Valzer dell’imperatore di Strauss e l’excursus natalizio a cura del direttore Cammarano, chiudono il concerto di Zefiro in una prospettiva di serenità.
Una notte sul Monte Calvo diventa il filo conduttore del concerto: dal caos della notte si può fare esperienza della luce del giorno e, attraversando la condizione umana, la musica supera la forma per essere memoria da cui ripartire ogni volta che ci si sente perduti.
Cosa rimane di questo meraviglioso concerto se non la bacchetta del direttore che scrive l’amore per la musica nell’aria che (dovrebbe) respirare? [ads2]