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Xin Wang & Florian Koltun per “Piano Solo”

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Xin Wang & Florian Koltun per “Piano Solo”

Europa e Cina s’incontrano sulla tastiera. Mercoledì 16 marzo, alle ore 19 Xin Wang e Florian Koltun saranno ospiti della decima edizione del Festival, ospite del Salone dei Marmi del Comune di Salerno.

[ads1]La decima edizione del Festival Pianistico Internazionale Piano Solo, promosso dai pianisti Paolo Francese e Sara Cianciullo, ospite del Comune di Salerno, con la collaborazione di Santarpino Pianoforti e Pisano Ascensori, proporrà mercoledì 16 marzo, alle ore 19, nell’abituale cornice del Salone dei Marmi del palazzo di Città, una serata dedicata al quattro mani con Xin Wang e Florian Koltun.

Questo tipo di formazione è uno strumento educativo eccezionale, sebbene non più considerato quanto lo era in passato: suonare con un partner significa innanzitutto imparare a calibrare il fraseggio in modo non solipsistico ma comunicativo, e i grandi duo sono spesso nati nelle aule dei conservatori. Così crediamo sia avvenuto anche per Xin Wang e Florian Koltun, una cinese e un tedesco entrambi perfezionatisi con Gabriel Rosenberg, un quattro mani che principierà il suo programma con la Sonata in do maggiore K. 521 di Wolfgang Amadeus Mozart, composta nel 1787 a Vienna per Franziscka von Jacquin, e, in un secondo tempo, alle gemelle Babette e Nanette Natrop. L’articolazione di questa composizione segue la tipica disposizione della sonata classica in cui si alternano momenti melodici e virtuosistici; i tre movimenti che la compongono, infatti, si caratterizzano per la sintonia tra il carattere brioso dell’Allegro e i momenti particolarmente drammatici dell’Andante per terminare nell’Allegretto finale con un classico rondò.

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Xin Wang e Florian Koltun

La sonata è una sorta di commedia giocosa, il drammaturgo Mozart che stava per iniziare a comporre il Don Giovanni, si mantiene ancora per un momento nel mondo delle Nozze di Figaro, o anticipa il Così fan tutte. Florian Koltun eseguirà la Sonata in fa diesis minore, datata 1852, appartenente a un Johannes Brahms meno che ventenne, che riceve, dunque, inopinabile aire dallo slancio giovanile delle idee ma l’invenzione, si articola già entro “strutture gravi e grandiose”. Il primo tempo alterna esaltazioni rapsodiche a ripensamenti lirici. L’anelito formale si fa evidente nella ricerca di un collegamento fra i temi dei quattro tempi, che al D’Indy ha fatto intravvedere in quest’opera un’anticipazione della forma ciclica di Franck. Nell’Andante con espressione una melodia raccolta, suggerita dalla lettura di un canto d’inverno del poeta medievale Kraft von Toggenburg, appare per tre volte sotto la specie di variazioni in forma di fantasia.

Lo Scherzo è condotto nel pianismo sonoro caratteristico di Brahms con passaggi per terze e per seste. Il Finale si riallaccia nella Introduzione, la quale ricompare ancora nella chiusa, all’andatura rapsodica del primo tempo. Al centro appare per la prima volta quel cantabile, marciabile, sul quale Brahms imposta la raffinata retorica dei suoi ultimi tempi. Di nuovo in duo per tre danze ungheresi di Brahms, la prima, una delle più eseguite della raccolta, ispirata alla “Isteni Czàrdàs” di Sarkozy, tripartita con un episodio centrale chiuso fra la presentazione e la ripresa dell’episodio principale, caratterizzata dall’intensità espressiva del tema, cui si oppone, ogni volta la breve cascata di note staccate e leggere, la seconda dall’amabile cantabilità e la quinta un prezioso capolavoro di estro e vivacità tzigana, tratta da un motivo “Bartfai Emlék” di Bèla Kèler, pseudonimo di Adalbert Nittinger.

Chiusura di serata affidata al Franz Schubert della Fantasia D 940 op.103 in Fa minore, composta nel 1828 Simile alla Wanderer-Phantasie, questo lavoro si articola in quattro movimenti in una libera forma di sonata. L’Allegro molto moderato inizia in tono minore, secondo l’uso ungherese, ma ben presto si arricchisce di modulazioni che slanciano il discorso melodico. Il Largo in fa diesis minore è una specie di omaggio all’arte italiana, in quanto si sa che proprio in quell’anno il musicista aveva avuto occasione di ascoltare Paganini e dopo l’Adagio del Secondo Concerto op. 7 del violinista aveva detto di aver udito cantare un angelo. Lo Scherzo brillante e il Finale rivelano uno Schubert contrappuntistico quanto mai insolito.[ads2]