Presentato ieri Vivavoce, l’ultimo album di Francesco De Gregori, che raccoglie 28 grandi canzoni del suo repertorio, tra collaborazioni e sperimentazione musicale. Alla Feltrinelli, in piazza dei Martiri a Napoli, accompagnato da Nino D’Angelo e Federico Vacalebre
“L’artista ha una visione circolare delle cose, perché deve guardare al passato per comprendere il presente”; Francesco De Gregori esprime questo autoriale pensiero nello speciale del 20 novembre su Sky Arte, in cui si racconta e parla del suo percorso artistico.
Vivavoce dimostra una rinnovata volontà di sperimentare con diversi arrangiamenti musicali e diverse voci un repertorio di brani, per completare e dare spessore alla profondità dei testi. Significativa infatti la collaborazione con Ligabue in “Alice guarda i gatti”, il quale, per il suo timbro vocale quasi tenebroso, crea un contrappunto sonoro rispetto alla voce più infantile di Francesco De Gregori. La sperimentazione è una costante in De Gregori, e lo dimostra la sua sensibilità musicale, presentando sempre nuovi arrangiamenti nei suoi tour, partendo dai suoi testi storici per ripescare nuovi suoni e melodie; flussi musicali che gli appartengono si sprigionano nella sperimentazione, per fare della sua carriera un continuo omaggio al suo mondo musicale interiore, ma offrendo anche al pubblico nuovi spunti e originalità. Molto suggestiva anche “La donna cannone” con Nicola Piovani, in cui il pianoforte stimolato dalla sensibilità del compositore, porta in evidenza quel tema musicale più introspettivo.
Lo stile di Franscesco De Gregori si può dunque definire una partitura su cui sono scritte delle parole, ma con note in continua transizione, che ogni volta sono riordinate in base allo stato d’animo dell’autore, al modo in cui intende arrivare al pubblico, o in base a un suo legame affettivo, un ricordo, una sensazione. Le parole poi, appartengono alla sua vita, alle sue esperienze. Incontri, amicizie, situazioni, letture (anche da un giornale, come il caso de La donna cannone), osservazione e constatazioni. I brani di De Gregori sono una sorta di diario, in cui riporta amori e delusioni, speranze personali e di una generazione, storie quotidiane.
Accompagnato da Nino D’Angelo l’incontro assume una fisionomia rilassata e amichevole. Nino lo provoca definendolo un poeta della musica, ma Francesco umilmente risponde: “Le poesie non hanno bisogno di musica, sono testi già conclusi, infatti è difficile trovare per strada uno che va recitando una poesia, ma forse canticchia canzoni. Le canzoni hanno bisogno della musica per essere un’opera completa, poi se qualche suo testo ha qualcosa di poetico è un valore aggiunto“. La conversazione tra i due verte sulle canzoni napoletane, avendo il pubblico percepito un tentativo di cantare insieme “Tammurriata nera” in camerino, ma Francesco si rifiuta di provarla in conferenza, dopo le richieste da parte della folla, per la sua incapacità di pronunciare il napoletano in maniera corretta. Nino D’Angelo addolcisce il discorso invitandolo una settimana a casa sua per imparare il napoletano, garantendogli di riuscirci.
L’artista guarda al passato per comprendere presente e, forse, il futuro: allora ricordare canzoni di successo, ognuna parte del suo animo articolato, è un pezzo della sua esistenza, in cui ritrova e rivive qualcosa del suo passato. Il presente dunque si traduce nella sperimentazione musicale, in questa ricerca in fieri, che non prende mai una forma definitiva. De Gregori associa la musica alla pittura, non tanto alla poesia, perché il cantautore è come un pittore: una volta completato il dipinto lo lascia alla libera interpretazione del fruitore, così la musica. È come se De Gregori si assumesse la responsabilità di reinterpretare ciò che già esiste per offrire al suo interlocutore nuovi approcci, una nuova sensibilità a passo con i tempi. Ecco allora quale significato assume la visione circolare delle cose, perché dalle origini (metaforiche) un artista può entrare nel presente e comprenderlo, ma solo restando intimamente legato al suo passato, dove può ripescare momenti storici, fatti, emozioni. I suoi testi sono il passato, con cui impara a comprendere il presente attraverso la sperimentazione musicale.
Una voce viva dunque, che non si ferma a confezionare successi e all’autocompiacimento, ma è in movimento, modifica i contorni e ne risalta i contenuti.
L’album che avrebbe voluto fare da una vita, dove in 28 brani, racconta il suo magico rapporto con la musica, con la sua carriera e con se stesso.
Servizio fotografico a cura di Pietro Avallone