Nel trentennio dalla morte di Eduardo De Filippo, La bottega del sorriso porta in scena “Uomo e galantuomo”, in collaborazione con l’Associazione Cilento Turismo Verde
La Bottega del Sorriso interpreta “Uomo e galantuomo” con attori ben molto amalgamati, in totale sintonia nei botta-e-risposta, su cui spicca il capocomico Catello Balestrieri nella parte di Gennaro/Eduardo. Tra i protagonisti principali emergono l’attrice non protagonista Marina Infantini (Ninetta la governante), Giovanna Attanasio (Viola l’attrice), Rossella Batti (Bice), Raffaella Cella (Fiorenza l’attrice), Salvatore Saggiomo (il delegato), Salvatore Pellegrino (Carlo Tolentano). Nel cinema Bolivar di Marina di Camerota, le scenografie si muovono rapidamente, rappresentando un diverso ambiente, ben curato, per ogni atto. Un’organizzazione solida, forte della collaborazione con l’Associazione Cilento Turismo Verde, che permette alla compagnia di andare oltre il territorio cilentano e di regalare una settimana di vacanza nel Cilento ai bambini bisognosi.
Uomo e galantuomo, commedia in tre atti del 1920 di scena dal 4 al 6 aprile a Marina di Camerota, segna il passaggio di Eduardo dalla farsa al teatro. La “farsa”, in origine puro intermezzo tra rappresentazioni sceniche, nel corso del tempo divenne un genere teatrale più codificato e autonomo, e rappresenta la primissima fase di De Filippo (dal tono specificamente più allegro e divertente).
Il teatro di Eduardo però è osmosi di riso e dramma, specchio della società che osserva: in particolare, Napoli è vita. Questo passaggio dal genere farsesco al teatro è al centro della commedia. Il teatro e le sue dinamiche sono la trasposizione metaforica della vita. L’equivoco, su cui si costruisce la commedia, è proprio ‘quel’ limite tra arte e vita. Le due dimensioni si confondono, tutto appare verosimile, plausibile, ingannevole, poi man mano, quasi come un percorso maieutico, si arriva a comprendere la verità. Si risolvono le questioni, si svelano le nature dei personaggi e i loro scopi, si comprendono le logiche narrative.
Fingere di essere folli, un’altra chiave di lettura proposta da La bottega del Sorriso per la commedia “Uomo e galantuomo”. I 3 personaggi maschili principali (il giovane benestante, l’attore, il conte) sono implicati in una serie di equivoci, risolvono le rispettive questioni, intrecciate tra loro, fingendo la follia. Fingere e follia sono ancora due metafore del teatro. Fingere è sinonimo di interpretare, rappresentare, recitare; mentre la follia è il “cuore” dell’artista, la sua visione del mondo, il suo sentirsi dentro e fuori dall’opera, sul palcoscenico e a contatto con la vita reale, è come un patto tra l’artista che vuole rappresentare e la vita che accetta di entrare a far parte dello spettacolo.
Ma ciò non avviene solo in “Uomo e galantuomo”: il teatro si confronta spesso con la follia, basti pensare ad Antonin Artaud e al suo folle, utopico “Teatro della crudeltà” quando, nella sua follia clinicamente provata (e strumentalizzata), dichiarava di abolire la rappresentazione, per portare nel teatro la Vita, nelle sue dinamiche ancestrali e umane. Nel suo tentativo disperato di trasformare il teatro nel palcoscenico della vita in azione, Artaud esigeva una totale corrispondenza tra pensiero e azione, fino a fare del proprio corpo il mezzo della testa e viceversa. Sono questi gli anni in cui il teatro si rivoluziona, ed Eduardo ne è un profeta, un maestro.
Quale scelta migliore allora, se non Uomo e galantuomo per ricordare il grande Eduardo? La Bottega del sorriso ottiene una platea numerosa, una sala piena, lasciando assaporare le risate con la consapevolezza di raccontare De Filippo in una delle sue opere migliori e ricche di spunti.
Nella pièce Uomo e galantuomo non manca l’interesse dell’autore alla quotidianità, alla povertà, in particolare della condizione degli artisti, alla lotta di classe, alla contrapposizione tra l’uomo e il galantuomo. La differenza tra uomo e galantuomo è ancora un chiaro riferimento all’equivoco, alla dialettica tra l’essere e l’apparire, tra ciò che si rappresenta socialmente e ciò che si è davvero nelle mura domestiche. Non resta che menzionare il titolo dell’opera del sociologo Erving Goffman, che nel 1959 pubblica “La vita quotidiana come rappresentazione” svelando la differenza tra palcoscenico (in cui l’attore sociale agisce recitando) e la ribalta, come quella dimensione intima e personale in cui l’attore sociale si prepara a recitare nelle diverse situazioni, preoccupandosi di garantire una certa coerenza.