Il Teatro Municipale “Giusepe Verdi” di Salerno presenta, giovedì 9 maggio alle ore 20, un omaggio a Modugno “Uomini in Frac”. L’intervista a Peppe Servillo e Furio Di Castro
Un progetto di Peppe Servillo e Furio Di Castri.
direzione musicale di Furio di Castri
Peppe Servillo: voce, Javier Girotto: sax, Fabrizio Bosso: tromba,
Furio Di Castri: contrabbasso, Rita Marcotulli: pianoforte, Mattia Barbieri: batteria
Ci si chiede: cos’è il jazz? Un tema, una serie di improvvisazioni soliste, poi ancora il tema? Ci si chiede: cos’è un classico? Un immutabile brano, irrimediabilmente figlio del suo tempo, scolpito per sempre a chiare note nella storia e nella memoria di tutti? Si possono mescolare classicità e jazz, cristallizzazione eterna della forma e improvvisazione?
Qualche tempo fa Furio Di Castri e altri noti jazzmen (Bollani, Petrella, Negri), assieme al meglio del rock (?) italiano (Ferretti, Servillo, Canali, Maroccolo…), hanno deciso che classicità e jazz potevano essere un bell’esempio di coppia mista; hanno tirato fuori dalle loro discoteche un “classico” del rock da loro amato (Frank Zappa), lo hanno ben metabolizzato e ripresentato al pubblico alla loro maniera: nasce Zapping. Tutti entusiasti, musicisti e pubblico.
Aperta una strada, perché non osare di più? Ecco Modugno e il jazz. Modugno è un monumento della canzone italiana, il suo urlo a braccia aperte “volare” proietta
l’Italia dentro il boom economico, dentro la modernità e nel mondo, rivoluziona la canzone, da allora in avanti non più figlia solo del “belcanto”; Modugno trasforma le melodie e il linguaggio, ma resta saldamente radicato nella tradizione popolare, ha un cuore antico e un linguaggio nuovo, se ne infischia delle mode, è un classico.
Ma, si diceva, il jazz non ha paura dei classici; le sue modificazioni e trasformazioni di un repertorio vengono dalla conoscenza, dalla riflessione, dall’empatia: la poesia, il gioco, il paradosso dell’interpretazione jazz sono il risultato di una frequentazione affettuosa, non un tradimento.
Non si può chiedere al jazz di essere filologico, di mantenere una distanza snob dall’originale. Che del resto qui non potrebbe esistere, visto l’elenco degli Uomini in frac: un cantante che più “teatrale” non si può, Servillo.
Di Castri che invita a seguire le piste inesplorate del continente Modugno, i colori esotici, gli echi delle bande, gli accenti folk; la tromba raffinata e potente di Fabrizio Bosso; le ance di Girotto, tra melodia e Sud America; il pianoforte di Rita Marcotulli, intenso indagatore dei meandri melodici e armonici del repertorio italiano; la ritmica ricca e up-todate di Barbieri.
Pasqualino marajà si mischia con l’Art Ensemble of Chicago; ‘Lu minatori con Duke Ellington; Vecchio frac con Leonard Coen… Che dire di più?
Gli Uomini in frac presentano il loro Modugno.
INTERVISTA: TRE DOMANDE A PEPPE E FURIO
Peppe Servillo, fascinoso e istrionico cantante, è uno degli ideatori di questo omaggio a Modugno. In che modo ritieni che Modugno abbia rinnovato la canzone italiana?
Le sue melodie sono assolutamente innovative rispetto a quelle di allora, ma comunque fortemente legate alla tradizione popolare e totalmente non condizionate dalle mode. Pensiamo al suo uso del dialetto, in tempi assolutamente non sospetti e in contesti inusuali. Inoltre il suo atteggiamento estroverso sul palcoscenico – quello di un vero attore di scuola, quale in effetti era – lo ha trasformato nel primo vero “interprete” della canzone italiana.
In questo immagino tu ti senta un suo erede: il tuo modo di interpretare canzoni è molto “teatrale”. Ho molto da imparare da Modugno. Ho sempre guardato a lui come a un modello da emulare. Sarebbe un onore essere considerato un suo erede.
Uomini in frac sarà un omaggio “filologico” o una reinterpretazione?
Saranno inevitabili i cambiamenti, i tempi sono cambiati e la sensibilità musicale è diversa. Io interpreterò in prevalenza la parte napoletana del suo repertorio, che mi è particolarmente congeniale.
Il resto dei musicisti – il meglio del jazz italiano – tratterà molto liberamente il materiale di Modugno, senza quel timore di tradire l’originale che spesso si trasforma in snobistico distacco. Furio Di Castri, contrabbassista, ha suonato con i maggiori jazzmen dell’ultimo trentennio: da Petrucciani a Rava, da Lacy a Motian, da Joe Henderson a Art Farmer.
Decine gli album registrati come leader con formazioni diverse e come sideman con i maggiori solisti del jazz contemporaneo. Altrettanto numerose le sue tournée in tutto il mondo.
So che a te – di formazione musicale totalmente estranea alla canzone italiana – la musica di Modugno interessa piuttosto come “materia prima” su cui lavorare. Cosa hai trovato di interessante nelle musiche di Modugno? Che tipo di lavoro ti hanno suggerito?
Devo dire che ho trovato alcune difficoltà a trovare una chiave con cui leggere la musica di
Modugno. Ho sempre considerato il mondo della canzone estraneo alla mia vita di musicista.
E di Modugno, in particolare, non ho mai amato quella retorica tipica di una certa Italia da canzonetta: cose tipo “il maestro di violino, il telefono che piange, la porta chiusa” etc. Roba da fare accapponare la pelle.
Ho preferito andare a cercare il paradosso nei twist, nel tango, nelle atmosfere orientali, insomma in quei colori da cartolina che venivano suggeriti dagli arrangiamenti dell’epoca.
In che modo, più in generale e al di là del concetto di “standard”, pensi che il jazz possa utilizzare la canzone italiana?
Si tratta di due mondi molto diversi. Il jazz di oggi è molto slegato dagli standard – intesi come materia prima. Però dipende molto dal carattere del musicista e dalla propria storia. Chi “sente” la canzone come un patrimonio personale è sicuramente portato a utilizzarla nel proprio linguaggio. A me risulta un po’ difficile.
Credi che gli sviluppi futuri del jazz – più in generale la musica improvvisata – saranno più legati alla sua propria tradizione (da Armstrong a Ornette Coleman) o trarranno ispirazione da tradizioni musicali differenti (musiche etniche, pop, contemporanea…)?
Beh, il jazz è sempre stato un grande contenitore di tutte le musiche e quella che si fa oggi è una musica aperta a 360°: la musica di Armstrong e di Ornette è una fonte di ispirazione preziosa come quella degli Gnawa, di Hendrix, della musica classica o della manipolazioni elettroniche.
Come diceva Ellington, esistono solo la musica bella e la musica brutta. E la musica bella è assoluta, non è legata ad uno stile o ad un genere…