Tusk, horror trash e tragicomico per il regista di Clerks
[ads2] Cosa accadrebbe se ci trovassimo in Canada, alla ricerca di una storia interessante da raccontare e proprio lì, in un paese sconosciuto, trovassimo un vecchio cantastorie in sedia a rotelle pronto a soddisfare la nostra voglia di ascoltare? E cosa accadrebbe se mentre il misterioso narratore parla e noi siamo ipnotizzati improvvisamente svenissimo e ci ritroveremmo anche noi in sedia a rotelle con una gamba in meno al risveglio? Niente di più agghiacciante!
È quello che accade in Tusk, film di Kevin Smith al Festival di Roma nella sezione Mondo Genere in cui il malcapitato della vicenda horror proposta è Wallace (Justin Long) un podaster americano che gestisce un programma radiofonico sul web appunto e che parte per il Canada allo scopo d’intervistare Kill Bill Kid, un adolescente che si è tagliato una gamba giocando con una spada. Al suo arrivo sul luogo però Wallace apprende che il giovane è morto e dovrà trovare così un’altra storia.
Un volantino in un bar di periferia lo condurrà a casa di un vecchio misterioso, ex marinaio che offre alloggio gratis a chiunque sarà disposto ad ascoltare le sue storie.
Il regista mette lo spettatore a proprio agio, accompagnandolo in un luogo confortevole, una villa nei boschi canadesi con il camino acceso, un personaggio abbastanza vecchio da risultare il narratore ideale e la promessa di storie fantastiche e avventurose.
Non appena ci si sente a proprio agio, è li che l’horror prende forma e il regista sferra un duro colpo.
Fin dalla prima scena si tratta di un horror che non sembra tale, in cui la crudeltà, l’orrore e la violenza si insinuano a poco a poco nella storia fino a quando lo spettatore non vi si trova immerso. Tutto ciò è reso inoltre grottesco dalla tipologia di orrore che vediamo in questo film, in cui il cattivo della situazione sostiene una tesi circa la crudeltà dell’uomo e la condizione migliore degli animali, di uno in particolare.
Nel cast vediamo comparire, nella seconda parte anche Johnny Depp, che dai tempi di Pirati dei Caraibi non si è ancora svestito dei panni di Jack Sparrow. Ormai si è specializzato negli stessi tic e nelle stesse movenze, cambiando giusto qualche sfumatura. Si tratta certamente dell’elemento meno interessante del film e ci si rammarica di ciò, dato che Depp è ricordato, fin dagli inizi, come uno degli attori più originali della sua carriera, ma l’impressione è che ormai non riesca a uscire da certi schemi.
Per quanto riguarda Smith, il suo nome è associato a film cult come Clerks, Dogma, Zack e Miri e dunque a tutto ciò che è trash e demenziale o comico e grottesco. I suoi pertanto, come anche Tusk, rispondono a un mix di elementi che non permette di classificarli in un unico genere.