Gian Maria Tosatti è il penultimo protagonista del ciclo Tempo Imperfetto, a cura di Stefania Zuliani e Antonello Tolve, con la mostra dal titolo Per un museo della polvere, presso il Museo Archeologico Provinciale di Salerno
Per un museo della polvere è la penultima mostra del ciclo Tempo Imperfetto, a cura di Stefania Zuliani e Antonello Tolve, incentrata sull’opera di Gian Maria Tosatti intitolata La mia parte nella seconda guerra mondiale. Un’opera unica ma con un peso importante, quello che può materialmente sostenere l’artista sulle sue spalle, e che in un certo senso tutti noi ci trasciniamo dietro da generazioni.
[ads2]
La seconda guerra mondiale è un periodo storico che ha incuriosito Gian Maria Tosatti, artista romano, classe 1980, che parte nella sua formazione artistica da uno studio performativo di stampo teatrale e che lo porta poi ad indagare il rapporto tra le arti visive e l’architettura, realizzando prettamente opere site specific. Vincitore ex-aequo del concorso Un’opera per il Castello 2013 organizzato dal Museo del ‘900 – Castel Sant’Elmo di Napoli con l’opera My dreams, they’ll never surrender, è coinvolto dal 2013 in un ciclo di installazioni dal titolo Sette stagioni dello spirito, a cura di Eugenio Viola, ambientato sempre nella città di Napoli.
Un collegamento con questa città lo si ritrova nell’opera presentata al Museo Archeologico Provinciale di Salerno, esposta quasi a sorpresa al piano superiore del museo, come parte del percorso museale, quasi una reliquia della contemporaneità. L’opera consiste in una teca di plexiglas che ricalca le modalità espositive tipiche di un museo, il cui prezioso contenuto è la polvere proveniente dalla chiesa dei SS. Cosma e Damiano di Napoli.
La chiesa dei SS. Cosma e Damiano, luogo in cui si ambienta la prima installazione del ciclo Sette stagioni dello spirito – La peste – fu danneggiata dai bombardamenti durante l’ultima Guerra, e di conseguenza è rimasta chiusa per mezzo secolo. Gian Maria Tosatti ha quindi tentato di raccogliere ciò che resta di questo «atto fondante» che è stato il secondo conflitto mondiale, «della Seconda Guerra Mondiale se ne parla tantissimo, ma sono stati pochi quelli che hanno consegnato quell’evento all’esorcismo dei libri di storia, come se fosse qualcosa che “è stato” e che non coinvolge più. Quello che vedo intorno a me oggi ha in sé impressa la matrice di quell’atto fondante che è ciò che è successo durante la Seconda Guerra Mondiale. È il momento in cui ha preso forma in maniera chiara, archetipa, quella che è la parte più profonda dell’identità umana contemporanea».
Gian Maria Tosatti analizza la storia vivendola, per raccontarla attraverso la sua verità, un processo che è stato condizionato dalle sue origini. La presenza ingombrante della storia di Roma condiziona la sua crescita intellettuale, fin da quando giocava «a pallone usando come pali i busti di Villa Borghese». Questa stratificazione verticale della storia l’ha ritrovata poi a Napoli, dove Tosatti ha preferito perdersi dietro ai bambini che giocavano a pallone piuttosto che seguire i percorsi turistici tradizionali. Come lui ammette, «per 6 mesi ho camminato in giro per la città, per le strade, nei vicoli, nei posti migliori e peggiori e non seguito affatto un iter tracciato. Dopo un anno e mezzo che sono a Napoli ancora non sono andato a vedere né la Cappella Sansevero e nemmeno il Caravaggio. Sono andato dove mi sentivo di andare. Mi sono perso dietro ai ragazzini che giocavano a pallone e bestemmiavano, e ho fatto l’opera da cui è tratta quella polvere. Se avessi seguito il libro probabilmente non avrei fatto rappresentato quella che è la mia verità. Gli artisti devono scrivere solo la riga ulteriore alle migliaia righe già scritte, ma non devono mai fare la summa, l’unica cosa di cui sono proprietari è la loro verità».
Tosatti cerca attraverso le sue installazioni ambientali, che in realtà sono vere e proprie performance, di creare un piano comune tra il suo punto di vista e quello del visitatore che diventa parte attiva dell’opera. «Costruisco dei luoghi che non hanno un significato preciso in modo che ogni persona sia automaticamente chiamata a proiettare i suoi significati interiori. Per cui si trova in uno spazio che è il suo spazio, e non il mio spazio, mio è solo il dispositivo che aiuta ognuno a creare il proprio spazio».
Il modo in cui le sue opere vengono costruite segue una missione precisa che sarebbe poi quella di ogni artista: agevolare ognuno a trovare quelle parole che ha dentro di sé e che non riesce a tirare fuori. L’artista fa emergere questa necessità delle persone attraverso il suo linguaggio che è la materia viva che egli stesso plasma. Fondamentale è che l’opera racconti la verità di un luogo, di una città che è composta «da cittadini ognuno dei quali è una riga del romanzo di quella che è l’identità culturale di quel luogo, di quel territorio. Ognuno conserva una riga ma non conosce l’intero romanzo. Quando incontro le persone, camminando tra loro, ognuno mi consegna la propria riga e il mio compito è mettere in ordine quelle righe e ricomporre il romanzo in modo tale che non sia il mio romanzo ma il romanzo di tutti. Infine lo riconsegno a loro». Materialmente il prodotto di questo scambio è rappresentato dalla teca di plexiglas che ha un sontuoso supporto che riproduce lo stile della tradizione barocca napoletana. Un omaggio, questo, che Tosatti ha fatto alla città che gli ha donato quella polvere e che ha fatto realizzare da un maestro intagliatore napoletano.
Perché la polvere? La polvere per Tosatti è ciò che rimane di tutte le epoche storiche, tutto ciò che è stato e che oggi è polvere. «Bisogna avere due modi di guardare la polvere: da una parte è quello che è superfluo e dall’altra invece è vederci dentro, atomizzata, la nostra civiltà. Dentro la polvere c’è sempre uno o più romanzi da districare, è un romanzo polifonico. L’atto titanico è quello di districarlo. Quella polvere è una polvere che ha mille e mille stratificazioni. Fondamentalmente quella polvere lì, proprio perché è il residuo ultimo di un periodo storico che nasce durante la seconda guerra mondiale, mi ha consentito di iniziare un romanzo da districare».
Una guerra che, appunto, «non è finita» come ha scritto Eduardo De Filippo nella sua opera Napoli milionaria, e il compito quasi da «partigiano» dell’artista è quello di renderla ancora viva e non farla cadere nell’oblio. Proprio perché in questi tempi tutto viene consegnato alla polvere, Tosatti è dalla polvere che parte per affermare una presenza che non va dimenticata, «Agamben, filosofo con cui mi sono misurato ultimamente proprio per il progetto napoletano, dice che l’archeologia è l’unico modo per conoscere il presente. A volte bisogna fare archeologia con le mani dentro la polvere e per capire il presente bisogna mettere le mani nell’archeologia che abbiamo a disposizione. Incredibilmente, c’è molta più polvere nell’archeologia del presente che in quella del passato».
La mostra si potrà visitare fino al 10 ottobre 2014, dal martedì alla domenica (lunedì chiuso) dalle ore 9.00 alle 19.30.
Info: Museo Archeologico Provinciale di Salerno
Foto a cura di Ciro Fundarò per la Fondazione Filiberto Menna