Si è spento ieri, all’età di 74 anni, dopo una dura lotta contro il cancro, Ray Manzarek, tastierista e fondatore, insieme a Jim Morrison, dei Doors, una delle più famose rock band della storia. In “The porpouse of existence is?”- canzone uscita nel 1992 all’interno dell’album solista di Ray: “The Golden Scarab” – Manzarek si interroga sul significato della vita e sul senso da darle durante l’esistenza.
“Perché stai vivendo?”, chiede a un certo punto del brano. Ma Ray ha saputo fin da bambino per cosa voleva vivere. E questa cosa era la musica. A sette anni si innamora del pianoforte, con il quale inizia a muoversi nelle strade del blues, del rock’n’roll, del boogie woogie, mettendo in piedi una band con i suoi fratelli a Chicago. Presto sente l’esigenza di scappare dalla città natìa e di dedicarsi in modo professionale all’arte, motivo per cui lascia incompiuti gli studi di legge per iscriversi a un corso sul cinema.
La svolta decisiva arriva però dall’incontro con Jim Morrison, avvenuto per caso sulla spiaggia di Venice a Los Angeles, durante il quale Ray fu piacevolmente colpito dalla prima versione di “Moonlight Drive”. A un corso di meditazione incontra invece altri due musicisti, e prende vita l’idea di formare una band. L’inizio della vicenda dei Doors, fatto di sacrifici, scarso successo e locali semivuoti, non fece perdere d’animo i quattro membri, che fiduciosi nelle proprie possibilità, continuarono a migliorarsi e a lottare per la fama. Dopo essere diventati la house band del Whisky a Go Go ottengono un primo contratto con la Columbia e poi quello giusto con la Elektra, con la quale pubblicano il primo album, “The Doors” nel 1967, portato in alto dalla leggendaria “Light my Fire”. La ricchezza del vocabolario musicale di Manzarek permise alla band di varcare i confini del blues e avventurarsi in territori molto diversi tra loro, da quelli più pop a quelli apertamente sperimentali. Lui stesso si definì ‘architetto’ del gruppo, per la sua innata capacità di spaziare e creare nel campo della musica, arrivando persino a rendere superflua la presenza di un bassista.
Alla morte di Morrison non permise al gruppo di eclissarsi e lottò fino alla fine per rimetterlo in piedi, sostituendo lui stesso la voce di Jim. Nel frattempo realizzò anche alcuni progetti solisti, con poeti come Michael McClure, con rockers del calibro di Iggy Pop, con musicisti come Philip Glass. Nonostante la malattia e l’età, non smise mai di incuriosirsi e mettersi alla prova, dimostrando che “lo scopo dell’esistenza” non è “quello di passare fuori dall’esistenza”, ma di viverla appieno, anche quando “si pensa la vita che si sente è illusione e dolore”. Bisogna superare le paure, aggirare gli ostacoli che esse pongono fra noi e i nostri progetti (fatti di vita e di tesori da scovare giorno per giorno).
“Per l’amore sei un estraneo”, così chiude questa splendida canzone. Ma contrariamente a questo epilogo, gli intramontabili successi musicali, uniti al dolore causato dalla sua scomparsa, sono la prova evidente che l’amore ha riconosciuto Ray.