Terremoto del 1980 – Novanta secondi di puro sgomento, 70mila costruzioni rase al suolo, 234.960 senzatetto, 8.245 feriti, 2998 morti. Anche a distanza di 35 anni è nostro dovere ricordare la strage che ha modificato per sempre la struttura e il cuore delle nostre terre d’origine
Erano le 19:35 del 23 novembre 1980, quando due scosse di magnitudo 6.5 e 6.8 della scala Richter, fecero tremare per 90 lunghissimi secondi gran parte della Campania e della Basilicata. Un’area di 17mila chilometri quadrati che si estendeva dall’Irpinia al Vulture, posta a cavallo delle province di Avellino, Salerno e Potenza. L’epicentro si registrò tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania.
Novanta secondi di puro sgomento, 70mila costruzioni rase al suolo, 234.960 senzatetto, 8.245 feriti, 2998 morti. Cifre che spezzano il fiato; anche solo immaginare la furia violenta con cui il terremoto fece scempio di cose, corpi ed anime riesce impossibile, ma è nostro dovere ricordare, anche a distanza di 35 anni, la strage che ha modificato per sempre la struttura e il cuore delle nostre terre d’origine.
«Un minuto di terrore – I morti sono centinaia», così titolava il Mattino di Napoli a tre giorni dall’immane tragedia. Tre giorni durante i quali i cittadini colpiti dal sisma erano stati completamente abbandonati a se stessi, alla loro disperazione, senza aiuti, senza sostegni di nessun tipo. L’interruzione totale dei pochi mezzi di comunicazione presenti all’epoca aveva impedito alle autorità di lanciare l’allarme e di valutare in tempo reale la vastità del dramma.
Quando, il giorno successivo al terremoto, un elicottero sorvolò le zone coinvolte, fu impossibile non rendersi conto dell’aberrante distruzione di interi comuni, zone fino ad allora a stento conosciute, che in quel momento smettevano di esistere nella loro identità. Cumuli di macerie, centinaia di edifici danneggiati, gente senza un ricovero dove affrontare il freddo dell’inverno e il gelo per aver perso molto più di un posto dove dormire. I giornali furono presto costretti a rettificare i loro titoli: «I morti sono migliaia – 100.000 i senzatetto […] FATE PRESTO per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla»
L’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, nonostante la pericolosità del viaggio, il 25 novembre si recò in elicottero nei luoghi della tragedia, rilasciando poi un’intervista, che ci lascia ancora oggi muti e commossi nel constatare l’impotenza dell’umanità nei confronti di una calamità così devastante. Un’impotenza che però poteva essere colmata da aiuti umani e materiali repentini ed efficaci, che purtroppo giunsero con un ritardo imperdonabile. «Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi e i superstiti presi di rabbia mi dicevano di non avere gli attrezzi necessari per liberarli dalle macerie», questa una parte del discorso-denuncia di Pertini, fortemente segnato dall’incontro con i sopravvissuti.
Altro punto oscuro e dolente, oltre ai mancati soccorsi, fu la ricostruzione, ancora oggi ricordata come uno dei più disonesti tentativi di speculazione, come testimoniano le numerose inchieste della magistratura. Politici loschi spesso incassarono il denaro pubblico stanziato per la ripresa dei comuni usufruendone per interessi personali e ai limiti della legalità, e mettendo in secondo piano l’effettiva ricostruzione delle zone colpite.
Ma oggi, nel 33esimo anniversario della tragedia, ci preme ricordare soprattutto le vittime, i sogni distrutti dalla furia della natura, il dolore inenarrabile di quanti hanno perso casa, beni materiali e soprattutto affetti nel giro di pochi secondi, la solidarietà (unica nota positiva in tanta sofferenza) giunta da ogni parte d’Italia, con l’auspicio che la memoria ci spinga a valorizzare e a prenderci cura di quanto rimasto e di quanto è stato ricostruito con sacrifici e fatica.
In fondo nessun risarcimento economico potrà restituire alle nostre terre quello che il terremoto ha spazzato via con violenza, tantomeno potrà obliare il ricordo indelebile che sopravvive intatto nella memoria di chi ha assistito e vissuto quei minuti di orrore e paura, poi diventati mesi di angoscia e anni di difficoltà, riscattati senza riserve con dignità ed orgoglio.