I protagonisti della serie tv Stranger Things sono un gruppo di ragazzini che giocano a un non precisato gioco di ruolo, capaci di litigare su chi sia il migliore dei Ghostbusters, bullizzati dai loro compagni di scuola.
I protagonisti di Stranger Things sono il ritratto di quelli che, nell’immaginario collettivo, incarnano i consumatori di videogiochi degli anni Ottanta. Gente un po’ stravagante, decisamente emarginata, in parole povere: nerd.
In realtà l’idea del videogiocatore visto come uno smanettone o un individuo con problemi di natura sociale non è altro che un mito: il videogioco, sin dalla sua commercializzazione, è stato pensato per essere un prodotto di massa.
Anche se l’invenzione giunge dai campus delle facoltà di scientifiche, i giochi vengono installati nei grandi luoghi di aggregazione e venduti a un pubblico per famiglie.
Licorice Pizza e High Score: modi diversi di raccontare l’esplosione dei videogiochi
Per chi volesse approfondire il discorso, si consiglia la visione di alcune opere filmiche come High Score, una docuserie lanciata da Netflix, che mostra e individua l’evoluzione del gaming dagli anni Settanta fino ad arrivare ai giorni nostri, così come il film nostalgico di Paul Thomas Anderson, Licorice Pizza.
In Licorice Pizza lo scorcio è quello della San Fernando Valley, in un momento di massimo splendore per questa area californiana, dove la vita dei protagonisti cambierà grazie al talento e all’iniziativa imprenditoriale di un giovane che decide di aprire un franchise a tema sala giochi.
Era naturalmente l’epoca d’oro dei flipper, dei primi giochi meccanici più che elettronici, ma ci mostra come la società americana e californiana fosse già pronta per inglobare un nuovo tipo di tecnologia e di svago in termini videoludici.
Durante i primi anni i videogiochi puntano decisamente verso un pubblico maturo
Persino il connubio videogiochi/bambini è un falso: le prime pubblicità di Megavox Odyssey vedevano protagonisti un uomo e una donna sulla quarantina, mentre la pubblicità Nintendo degli anni Ottanta erano rivolte agli adolescenti.
In Italia, ad esempio, la pubblicità del sistema Nintendo del 1990 era affidata a Jovanotti, che utilizzava la console come pretesto per flirtare con una ragazza.
Niente nerd, niente emarginati, quindi, il videogioco deve vendere, e per vendere deve piacere a un pubblico vasto, deve essere di moda.
Non a caso la risposta da parte di Sega Master System, sempre dei primi anni Novanta, vedeva i campioni di calcio della serie a dell’epoca, provare i giochi sportivi in uno spot che è entrato nell’immaginario di una generazione di videogiocatori.
Giovane e maschio: l’utente tipo per i videogiochi durante gli anni Novanta
Ciononostante si può affermare che nonostante gli enormi dati di vendita di console Playstation e Playstation 2 e i miliardi di PC venduti a partire dal 1984, è opinione comune che il videogioco degli anni Novanta sia fruito da un consumatore con precise caratteristiche: giovane e maschio.
Conseguentemente le aziende produttrici console e di videogiochi orientano il proprio marketing a questa tipologia di pubblico, contribuendo ad alimentare un’idea distorta della sua reale conformazione demografica.
Ciò che le aziende sembrano non considerare, in quest’epoca è che la generazione di gamer cresciuti durante gli anni Ottanta continua a giocare, e lentamente inizia ad aumentare e a crescere l’età media dei consumatori.
In seconda istanza, chi negli anni Ottanta era adolescente alla fine degli anni Novanta è adulto, ha famiglia e inizia a trasmettere la propria passione ai figli e perché no, alle figlie.
Un necessario e audace cambio di guardia: le console e i giochi sono ora per tutti
Così anche il rapporto tra il videogioco e il sesso maschile inizia a farsi meno stretto, e si assiste a una sostanziale mutazione del pubblico ideale.
Così quando nel 2002 la Interactive Digital Software Association pubblica i risultati di una ricerca sul pubblico dei fruitori del videogioco, i risultati sono interessanti: oltre un quarto dei giocatori su console e un terzo dei giocatori da PC è donna.
Cinque anni dopo invece il giocatore medio ha 33 anni di età e giocano più donne adulte che bambini.
Nonostante questi dati però la gran parte dei titoli viene creata con in mente un pubblico di giovani uomini: il paradigma non è ancora cambiato e verrà sfruttato anche per creare il marketing adeguato relativamente al contesto delle sale da gioco di casinò e per attrattive come il blackjack online su tutte.
C’è poi un’altra questione: chi produce videogiochi sembra rivolgersi solo al pubblico di appassionati di giochi, i cosiddetti core gamer. Chi vede nei videogiochi un mero passatempo, i casual gamer, è pressoché ignorato dal mercato.
Eppure per Nintendo il pubblico dei videogiochi è potenzialmente più ampio di quanto si potesse pensare, con una sostanziale barriera all’ingresso rappresentata dal controller.
Controllare il gioco richiede di fatto una certa dedizione, e così i giocatori occasionali restano tagliati fuori dal mercato, poiché non disposti a investire tempo per apprendere come utilizzare un videogioco.
Così a partire dal 2001 Miyamoto inizia a lavorare a un concetto mirato a rivoluzionare il sistema di gioco e di fruizione. Un sistema intuitivo, facilmente utilizzabile e capace di democratizzare il videogioco.
Missione compiuta ancora una volta, è il caso di dire.