
Al Teatro Giullare ieri sera è andata in scena la prima di “Emigranti”, di Slawomir Mrozek. Antitesi del mondo, ironia e verità.
[ads1] Ieri sera al Teatro Giullare è andata in scena la prima dell’opera “Emigranti” di Slawomir Mrozek, con la regia di Lucio Allocca e con Andrea Avagliano e Fulvio Sacco.
Opera tristemente attuale per il tema della lontananza dalla propria terra, è principalmente una metafora di due visioni antitetiche del mondo, incarnate in due migranti del profondo Sud che sono costretti a vivere in un sottoscala di un’indefinita capitale del Nord, durante una festa di Capodanno.

Un’atmosfera di mestizia e rassegnazione si impatta immediatamente allo spettatore, non appena cala il sipario del Teatro Giullare.
L’analisi dei personaggi vede un intellettuale, emblema dell’erudizione, della visione cinica e progressista della realtà, con l’obiettivo di scrivere un’opera musicale che ha come protagonista uno schiavo, e quella di uno zotico, simbolo di prosaicità, ignoranza, ma anche di semplicità a tratti finemente arguta.
La scena si svolge attraverso un’alternanza di siparietti tragicomici, che mettono in luce verità universali come la sottomissione al bisogno ed al potere del danaro, il cingolo che fa muovere la macchina delle migrazioni, e che genera nuovi schiavi della libertà.
Per il dotto, infatti, “si è liberi solo se si può disporre di sé”, perché “il potere può dare come togliere”, e definisce il suo coinquilino come “schiavo nell’anima”, in quanto ha come scopo nella vita quello di lavorare per guadagnare. L’altro appunto, alla fine, tenta un suicidio simbolico (che non andrà a buon fine) perché non trova corrispondenza tra le sue aspirazioni, che cerca di soddisfare attraverso il lavoro, e la realtà dei fatti.
La controparte razionale lo aiuterà a tracciare un ritratto doloroso di quelle che sono le vere condizioni di schiavitù dell’essere umano. Ciò porterà ad un’evoluzione del personaggio rurale, che prende contatto con la realtà al punto di non ispirargli più alcun soggetto per alcuna opera.
Le digressioni a tema politico e filosofico sono molteplici, e vogliono rappresentare un conflitto dicotomico sempre attuale tra potenti e popolo, oppressione e libertà, lavoro e fame, distacco e nostalgia. Il tutto sottolineato in maniera non casuale da un tappeto musicale come Gershwin, Bizet, Platters, ,suonati durante le divagazioni musicali del compositore con una pianola.
Un’opera sostanziosa, con un’ironia funzionale a non appesantirne la fruizione , ed al contempo a rendere bene i contrasti. Non è per tutti forse, ma per le sue disquisizioni dovrebbe essere vista e riflettuta per il suo sconvolgente parallelismo con il nostro tempo attuale.[ads2]