Still Alice, quando il ricordo inizia a sfumare
[ads2] Nell’ultimo anno si è assistito a un certo incremento della produzione di film che hanno come tema la malattia e la famiglia e il modo in cui le due convivono. Forse perché la necessità negli ultimi tempi è quella di ricongiungersi con i valori che contano e con i sentimenti più profondi dell’animo umano. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza di un abbraccio, di sapere che siamo amati e che possiamo amare, di stare vicino alle persone che amiamo. Il senso del sentimento, del vero, la sensibilità stessa si sono persi da quando la tecnologia si è sviluppata al punto da allontanarci dalla realtà. Un bel paradosso quello del terzo millennio, dato che la tecnologia sarebbe nata per accorciare le distanze. Così abbiamo perduto gradualmente la nostra umanità e siamo diventati automi. Ma quando l’uomo si rende conto davvero delle cose che contano nella vita? Purtroppo una delle leggi basilari della complessa natura umana è che ci si accorge del valore delle cose solo quando si rischia di perderle. In questo la malattia è un ottimo promemoria perché ci ricorda che non siamo immortali e ci riconduce alla caducità delle cose.
Dopo la scorsa edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, che vide primeggiare due film che rispondono a tale discorso ovvero, Dallas Buyers Club e Her, quella del 2014 non è stata da meno con il film Still Alice.
Presentato in concorso per la sezione Gala, il film di Glatzer Westmoreland è tratto dal romanzo omonimo di Lisa Genova che fu pubblicato da Simon e Schuster nel 2009.
La storia, che non manca di essere strappalacrime, è quella di Alice, una professoressa di linguistica della Columbia University, alla quale viene diagnosticato un Alzheimer precoce. La donna comincia ad accusare perdite di memoria e disorientamento. All’inizio è sola col proprio segreto, poi decide di condividerlo con la famiglia. A questo punto l’obiettivo è quello di cercare di affrontare il meglio possibile la degenerazione della malattia.
Julianne Moore che interpreta Alice è perfetta e la sua è una recitazione ben calibrata e che riesce ad alternarsi fra i momenti di lucidità e quelli di amnesia. È facile aspettarsi una candidatura agli Academy Awards.
Kristen Stewart pare sia riuscita a scrollarsi di dosso il ruolo di Bella in Twilight e sia entrata in una recitazione nuova. Alec Baldwin si è invece confermato co-protagonista e riesce bene a tenere il discorso con Julianne Moore.
Un tratto originale nella trama è sicuramente la scelta della malattia, dato che non si tratta delle solite malattie, già più volte affrontate, ma di un morbo che spaventerebbe anche il più impavido. L’Alzheimer è una malattia che fa perdere il senso e il ricordo di sé, ed è proprio su questo discorso che si basa il film.
Più volte la protagonista si rammarica, infatti, della possibilità di perdere tutto ciò che ha costruito nella propria vita.
Non si può fare a meno di rimanere toccati da un film del genere, una storia che i greci antichi definirebbero catartica, perché pone lo spettatore di fronte a frammenti della realtà con cui poi è costretto a misurarsi. Al termine di questo percorso lo spettatore, sull’aiuto degli interpreti, trae le fila del discorso e l’ultima parola che la protagonista riesce a pronunciare, nonostante le sue difficoltà è: Amore.