Si alza il vento è l’ultimo film di Hayao Miyazaki, in Italia solo dall’11 al 16 settembre, realizzato però nel 2013. Una sintesi profonda della filmografia di Miyazaki, che saluta in maniera poetica il suo pubblico affezionato
[ads2]Hayao Miyazaki è stato definito un maestro, il maestro dell’animazione, perché dietro i suoi disegni, tutti rigorosamente a mano, ha voluto raccontare la Storia, la sua civiltà, i suoi sentimenti, ma soprattutto il suo sguardo “puro” e pieno di speranza in un mondo migliore. Il cinema gli regala la possibilità di emancipare la sua interiorità e comunicarla all’altro. L’attenzione verso l’altro è straordinaria in Miyazaki. L’altro inteso non solo come un altro uomo, ma inteso come mondo che lo circonda. La Natura è impressionata a livello inconscio, e poi quella mano poetica di Miyazaki la concretizza in paesaggi dalla precisione mozzafiato. L’erba, i colori, i fiori, le sfumature, i dettagli: Hayao rispetta con tutto se stesso ogni singolo aspetto della vita che omaggia attraverso disegni che riescono a cogliere il senso delle cose.
Miyazaki è il maestro dell’animazione perché fa di questa forma cinematografica lo strumento per raccontare la Storia: il secondo conflitto mondiale, che ha vissuto in prima persona, da piccolo, quando ha percepito il terrore della guerra. La sua infanzia è la fase più preziosa della sua vita, che lo accompagnerà sempre, fino a interpretare la realtà e il senso della vita con una maturità tanto consapevole quanto ingenua e stupita, come quella di un bambino, appunto.
Si alza il vento, è dunque, il film in cui Hayao si apre completamente al suo amato pubblico, per raccontarsi ancora una volta, in maniera quasi autobiografica. E’ una sintesi ma anche una rivoluzione nel cinema del regista giapponese, dove tutti i topoi della sua filmografia si sommano con la grande novità: il protagonista/”eroe” è un personaggio maschile. Nel cinema di Miyazaki, dove non esiste la distinzione netta tra buoni e cattivi, la donna è sempre quella forza, quel motore, che trasforma lo stato delle cose. Questa volta la donna che affianca il protagonista è cagionevole, in fin di vita, ricordano la figura materna del regista, che ha trascorso un lungo periodo in ospedale, lontana da lui, perché malata di tubercolosi. Il film si concentra sulla figura di Jiro Horikoshi, che sogna di diventare un costruttore di aerei; altro legame alla sua vita, perché il padre del regista era appunto un ingegnere aereo. Jiro è associato a un altro importante personaggio dell’aviazione, Giovanni Caproni, suo idolo. I due s’incontreranno in diversi sogni, rievocando quello che si narra di Caproni: si pensa che abbia sognato la sua più grande invenzione.
Cominciano così le metafore, tipiche del cinema di Miyazaki, che passano attraverso il visivo. Il sogno rappresenta la continua rielaborazione interna di ciò che si vuole, ma anche di ciò che si vede: basti pensare al film Il mio vicino Totoro, in cui solo le due bambine, pure, vedono Totoro, perché in grado di avvicinarsi al mondo della Natura, non essendo ancora contaminate dalla coscienza adulta e disincantata. Il sogno dunque come manifestazione del lato puro della persona: Miyazaki infatti filtra il mondo attraverso uno sguardo onirico, e sceglie il cinema, un’altra metafora. Il cinema, inteso come libertà espressiva, strumento con cui raccontare la realtà, la vita. Quello di animazione poi è l’apoteosi del cinema per Miyazaki, perché riesce a tradurre e mettere in movimento in una narrazione più o meno logica, come il sogno appunto, un mondo interiore ed esteriore che ha il sapore di colori saturi di poesia.
Il vento. Metafora di forza della Natura che porta cambiamento, per Miyazaki è vera e propria espressione di forza, che dalla Natura sfiora e coccola il corpo dell’uomo e poi lo attraversa, per portarlo verso una crescita. Il vento come spinta verso il futuro, come voglia di volare, di vivere.
Gli aerei per Miyazaki sono mezzi che dovrebbero sfilare per la loro bellezza, rivelazione di ingegno e creatività; eppure sono i mezzi su cui avviene la più grande speculazione del mondo, quello reale, diventando “arma” da guerra. Miyazaki dichiara il suo amore per l’aereo, attraverso l’alter ego Jiro/Caproni, eppure ci insegna ancora qualcosa con una sottile filosofia esistenziale.
Un film lento, in cui il regista, dà forma a un attento affresco della vita quotidiana, concedendo tempo anche alle “comparse” che devono attraversare lo schermo da una parte all’altra, in cui vediamo rappresentare mestieri abitudini e riti, non dimenticando nulla: come la farfallina che gira intorno alla lanterna, unica fonte di luce nella notte buia. Lento anche perché seguiamo il percorso creativo di Jiro, ascoltiamo i discorsi interni al sistema lavorativo, e in questo modo possiamo comprendere anche la concezione del lavoro in Oriente: totale dedizione, fino ad annullarsi. Le riflessioni esistenziali non finiscono, in questo film capolavoro. Il Tempo, infatti, dimensione interpretata come attimo da vivere intensamente, senza considerare troppo il futuro, in senso materiale del termine. Sono due i momenti narrativi più intensi che esprimono questa concezione del Tempo: il terremoto del 1922, che coinvolge l’esperienza di studio di Jiro, e l’incontro con la donna che amerà. I due si erano incontrati proprio nell’occasione del terremoto, e scopriremo che Nahoko è condannata ad una malattia che la porterà presto alla morte. E’ significativo infatti la scelta di far incontrare per la prima volta Jiro e Nahoko durante il terremoto, espressione più amara della vita orientale in costante pericolo, precaria e soggetta alla forza della Natura per la morfologia del territorio giapponese.
Quando s’incontreranno da grandi, Nahoko e Jiro impareranno ad amarsi nel poco tempo reale, per poi amarsi nell’idea di essersi amati intensamente. “Io e Nahoko vogliamo fare tesoro di tutto il tempo che abbiamo per stare insieme“, così Jiro afferma a sua sorella, quando scoprirà la grave malattia di Kahoko. Questo rispetto per la vita e per il tempo che si ha disposizione per viverla è pura filosofia, orientale, ma insegna anche all’occidente a guardare la vita con occhi meno bramosi di conquiste a lungo termine, ma più attenti al dettaglio, quello quotidiano, che contiene lo stesso potenziale di felicità. Questa volta va oltre Miyazaki, perché fa coincidere la morte di Naoko con la creazione e il successo del primo aereo di Jiro: momento condiviso insieme, in cui Nahoko, nonostante la sua debolezza e la malattia, è in grado di trasmettergli forza, anche materna. Quanto insegnamento c’è in questa scelta narrativa!. Basti pensare al ruolo che avrà l’aereo nella società per comprendere il vero messaggio di Miyazaki: una sorta di punizione della tracotanza del creatore, che ha, in qualche modo, accettato un sistema per realizzare il suo sogno, perdendo l’amore.
Il film sta per finire. Jiro vive il suo successo tra gioia e tristezza, perché sente che sta perdendo Nahoko. Il sogno ritorna, così come il vento, così come Caproni. Nahoko gli appare; lo invita a vivere, a imparare a vivere. Vivere è diverso da sopravvivere, infatti. Vivere, è la speranza di Miyazaki.
Il cinema ha rappresentato questa possibilità per Miyazaki: imparare a vivere.