Continua l’attenzione alle band emergenti, ai nuovi talenti, ai musicisti appassionati. Stamattina si sono esibiti sul palco del Jam Camp del Meeting del Mare gli ultimi gruppi prima della selezione da parte della giuria
Leo In, Anto’ e Rana Plaza, Only Smoke, Jake Moody Quartet, Frank Mc, Freak Opera, Nocivielementi. ZerOttoNove ha intervistato il rapper quindicenne Leo In e la divertente e originale band Freak Opera.
Leo In, da Vallo della Lucania.
Data la tua giovane età, hai una formazione musicale?
Sì, io oltre alla passione del rap, suono anche il pianoforte. Scrivo le basi insieme al mio maestro di studi che mi sta aiutando in questo percorso.
Perché hai scelto il rap per esprimerti?
Perché è una forma di espressione abbastanza comune nei giovani di oggi. Io mi vesto in maniera piuttosto perbenista rispetto agli altri, ma è un genere che mi ha sempre appassionato.
I tuoi testi invece, a cosa si ispirano, cosa vogliono comunicare?
Soprattutto non voglio comunicare nessun messaggio politico, perché la mia età non lo permette ancora, e quindi non voglio essere o sembrare il finto “grandicello”. Voglio comunicare il fatto che la musica non ha età, perché anche io con i miei 15 anni posso avere i miei problemi, la mia personale visione delle cose.
Cosa hai provato in questa tua prima esperienza al Meeting?
Come prima cosa l’emozione fortissima e bellissima, perché vengo da Vallo della Lucania e so cosa significa questo evento per il Cilento. È importante anche essere di fronte a una giuria di esperti, mi gratifica e diventa per me un percorso di crescita e di maturità. Questo palco rappresenta il primo e più importante, sono molto contento di essere qui.
Freak Opera, da Pompei.
Perché la scelta di questo nome, “Freak Opera”?
Rocco Traisci (cantante): Io e Claudio Casarano (chitarrista) siamo nati come una coppia, perché volavamo fare un duo acustico di tutta quella musica anni ’60-’70 e di cantautori che si sono dispersi nel tempo. Noi però abbiamo voluto recuperare quel modo di scrivere, anche se ci siamo accorti che eravamo una coppia piuttosto buffa, da questo punto di vista, perché non era per noi associarsi al tipo di ricerca di avanguardia, dato che abbiamo un’impostazione abbastanza autoironica. Si sono aggiunti man mano Vincenzo Miele (batterista), Ilaria Scarico (basso, flauto traverso,) Antonia Harper e Dario Patti (violino) Mario Paolucci (chitarre). Quindi “Freak” e “Opera” come bianco e nero, l’accostamento di due nature, due livelli della musica e dell’arte, ma con una grande disciplina. Ciò che ci caratterizza è proprio la disciplina. Non siamo dei grandi musicisti, ma siamo sicuramente disciplinati e sappiamo come si scrive la musica. Questo è la parte operistica della nostra esperienza musicale.
Chi scrive i testi?
Rocco: I testi li scrivo io. Inizialmente noi volevamo fare le canzoni di Luigi Tenco, Lucio Dalla, Claudio Lolli, Fabrizio De Andrè. A un certo punto ci siamo messi a scrivere delle canzoni italiane di quegli anni che non esistevano, ma sono uscite fuori nel momento in cui dovevano uscire. È stato qualcosa di magico! Abbiamo così abbandonato quel tipo di sperimentazione e ci siamo concentrati su ciò che avevamo scritto. Nasce così “Restate umani“, che prende spunto da Stèphane Hassel. Adesso facciamo un secondo progetto che sarà pronto a settembre ed è totalmente diverso dal primo stilisticamente e concettualmente.
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Qual è la vostra formazione?
Claudio: la formazione è abbastanza variegata. Abbiamo Ilaria e Dario che vengono dal conservatorio, quindi hanno una formazione più completa e consapevole. Tutti gli altri siamo autodidatti, veniamo da realtà musicali diverse. Ognuno di noi ha un lavoro diverso, ma ci unisce la passione per la musica e questo progetto comune. Quasi tutti veniamo da altri gruppi musicali, poi abbiamo un recupero di elementi che hanno la musica nel sangue. Così, ci siamo buttati nella mischia.
Rocco: tutto parte dal bisogno di dire qualcosa. Noto che le nuove generazioni usano molto la terza persona, c’è ancora questo distacco con il testo. Io invece scrivo in prima persona, i testi ce li scriviamo addosso. Secondo me questo è un esercizio di stile fondamentale per dire qualcosa. Il testo per noi è molto importante e personale.
Perché la figura personificata da Antonio Mosca, che durante la performance sembra agire in maniera distaccata, scrivendo su una lavagnetta delle domande o provocazioni rivolte a te e indirettamente al pubblico?
Antonio Mosca è un personaggio molto importante per noi. Inizialmente era il barman durante le nostre esecuzioni, quando allestivamo un bancone sul palco per intrattenerci durante la performance. Avevamo bisogno di creare questa situazione da bar per esibirci e creare una situazione più intima e suggestiva con il pubblico. Diciamo che adesso è diventato il personaggio che crea l’unione tra “Freak” e “Opera”, è quell’elemento leggero che avvicina il pubblico e coinvolge. Lui mi prende in giro, cerca di alleggerire quella scena aggressiva che si percepisce fin da subito.
Cosa rappresenta Freak Opera per voi, quali sono i vostri programmi musicali?
Sostanzialmente a noi interessa andare in giro a suonare. Per noi sono esperienze anche divertenti, ci basta andare in giro e raccontare le nostre storie, andare oltre la freddezza del disco, perché preferiamo la dimensione live. Il nostro obiettivo è suonare il più possibile. Ben venga se questo determina una crescita, ma a noi interessa suonare.
La prima volta al Meeting? Qual è la vostra opinione rispetto alla poca risposta da parte del pubblico locale, che non è presente al Jam Camp?
Claudio: Sì, prima volta. Rispetto al pubblico, pensiamo che sia anche un atteggiamento normale in questi anni, a causa di un approccio sempre più distratto. Fino a quindici anni fa ricordo che si andava organizzati al live, si aspettava molto il concerto dal vivo delle band più famose, ma c’era anche attenzione verso gli artisti che si affacciavano sulla scena musicale.
Peccato, perché voi siete un gruppo musicale che può essere ascoltato distrattamente.
Sì, noi cerchiamo di suonare il più possibile proprio per avvicinare un pubblico distratto. Ci sentiamo molto legati al “Teatro-Canzone” della tradizione italiana, che cerchiamo di far rivivere. In questo modo speriamo di attirare l’attenzione del pubblico, attraverso l’intrattenimento per poi portarli verso la musica.