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Se Dio vuole. Il venditore di libri, autobiografia di Papa Ngady Faye

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Se Dio vuole. Il venditore di libri, autobiografia di Papa Ngady Faye

Writer ZON. Se Dio vuole. Il venditore di libri, è l’autobiografia di Papa Ngady Faye, senegalese di casta “griot”, quella dei cantastorie dell’Africa occidentale; oggi scrittore ed editore della Mou Mou. Libro scritto a due mani, insieme alla moglie Antonella Colletta, insegnante di francese. Un racconto coinvolgente, la storia di un sogno

se dio vuoleIl tè verde al sapore di menta scandisce la memoria di Amadou, un uomo con la voglia di scoprire se stesso e trovare il suo posto nel mondo. La storia parte da lontano , dal  Senegal fino a quel viaggio che lo porterà in un paese più ricco, l’Italia, che però al suo arrivo scoprirà essere più duro della sua amata patria e ben diversa da come i media gliel’avevano descritta.

Papa racconta lo scontro dei suoi sogni con la realtà, il bisogno di nascondere la sua identità, la scelta di un nuovo nome, quello del padre “Amadou”, maestro e modello di vita. Parla della  precarietà della vita in strada e della vergogna per il suo nuovo lavoro come venditore di libri ambulante, ben diverso dalle sue aspettative, aggravata dall‘indifferenza e spesso dal disprezzo di noi italiani infastiditi dalle innumerevoli schiere di questi uomini senza nome né storia, che troppo spesso incontriamo nelle strade.

Spiega la voglia di  rimanere e continuare a lottare nonostante tutto e tutti, che gli cambierà il modo di vedere le cose, prendendo il lato positivo del suo lavoro. Ed è proprio quando il protagonista cambierà il modo di vedere le cose che queste  inizieranno a  cambiare veramente. Alla fine un incontro gli farà capire il suo destino e darà un senso a questo viaggio facendogli trovare l’amore.

se dio vuole

62 pagine scritte in parte sotto forma di racconto, in parte di dialogo, in maniera semplice ma profonda, quasi poetica, accompagnate da fotografie che scandiscono le tappe salienti di questo piccolo testo autobiografico, attuale in un mondo sempre più globalizzato,  che da un lato annulla le frontiere e dall’altro è fortemente carico di pregiudizi nei confronti del diverso.

Ogni uomo porta sempre con sé una storia, ha dei sogni non dissimili dai nostri ed è scoprendola che ci si può rendere conto che non è poi così lontano da noi, che, in fondo, potrebbe essere noi. Andando oltre l’epidermide si può vedere l’uomo, la sua voglia di trovare un posto nel mondo, in questo mondo che non ha più frontiere,  nemmeno la religione può essere una barriera perché come sostiene Amadou,  il segreto di Dio è “La ilaha illa’Llah: non c’è Dio al di fuori di Dio, non c’è Dio se non è Dio” al di là del nome che uno possa o voglia dargli, Dio è il nostro prossimo, Dio siamo noi.

Siamo stati a casa di Antonella e Papa Ngady, alias Amadou, autori di “Se Dio vuole” e ora fondatori di “Modu Modu”, che traduce e pubblica scrittori africani. Amadou ci ha fatto il tè, anzi “attaya”, il tè alla senegalese al profumo di menta. La sua preparazione è lunga e laboriosa, richiede abilità, pazienza e sapienza antiche. Così, fra un giro di tè e l’altro, tre in tutto, abbiamo avuto modo di fare alla coppia qualche domanda.

 

Quando vi siete conosciuti, cosa vi ha colpito l’uno dell’altra?

Lei: Come tutte le persone fra le quali nasce una certa alchimia, nei primi giorni abbiamo parlato tanto, a lungo, delle nostre rispettive vite. Ce le siamo, in un certo senso, rovesciate addosso a vicenda, in una sorta di messa bassa in cui abbiamo dato sfogo a tutto il nostro bisogno di essere ascoltati da un orecchio capace di ascolto, deg-deg si dice in lingua wolof, e cioè con i cinque sensi e con le emozioni, più che con l’intelligenza. Di Amadou mi ha attratto la sua forza interiore, e il suo equilibrio, il vivere la propria vita con la consapevolezza di essere costantemente alla ricerca di se stesso, e di trovare un porzione di sé in ogni momento della propria giornata. E, allo stesso tempo, la sua fiducia nel donarsi a me. Nel suo sguardo c’è tutto questo.

Lui: Sì, è che Antonella ha saputo prendermi, sin da subito. Quando stavo in Senegal pensavo che mai e poi mai avrei sposato una donna europea. Da noi le famiglie sono molto tradizionaliste e anche quando la moglie lavora, i ruoli sono sempre molto ben definiti. Non voglio però che questa mia affermazione sia confusa con una forma di sottomissione. I senegalesi hanno molto rispetto per la donna, che ha una posizione importante all’interno della famiglia, ma i ruoli sono fissi e tramandati, più che di madre in figlia, direi di nonna in nipote. E’ una questione di equilibri. Invece, se sposi un’europea, si dice, non avrai più voce in capitolo e sarai costretto a fare i lavori di casa, accudire i bambini e tutto il resto. Ora, infatti, lavo i piatti e ho cambiato più di qualche pannolino, ma non mi pesa e mi sembra normale, visto che i ruoli di entrambi si sono dilatati fino ad essere diventati dei “non-ruoli”. Insomma, ero molto diffidente nel periodo in cui l’ho incontrata, ma in lei ho avuto istintivamente fiducia. Con lei mi sentivo a casa mia e non è una frase fatta: quando stavo insieme a lei e a suo figlio, emotivamente mi sentivo come non mi ero più sentito da quando avevo lasciato il Senegal. Vivere in terra straniera, a volte ostile, non è facile. Sei costantemente costretto ad auto-definirti, a riflettere molto prima di parlare per evitare fraintendimenti. “E’ nella mia lingua che ti parlo, è nella tua che mi ascolti”, diceva un filosofo martinicano. Ma con loro potevo abbassare le mie difese. Ricordo un pomeriggio, tardo pomeriggio, ormai era sceso il fresco dopo una giornata di afa che avevo passato su e giù sulla spiaggia a vendere i miei libri, che lei volle portarmi al mare, a respirare un po’ d’aria. Non mi sembrava vero che la spiaggia potesse essere anche questo, un luogo in cui rigenerarsi. Provai una sensazione di benessere profondo. Ecco, è questo che mi ha colpito in lei. Emanava questo benessere e riusciva a crearmelo intorno.

 

Antonella, come sono i rapporti con la famiglia africana? E fra tuo figlio Gianluca e Amadou?

Intanto, il Senegal, per la sua storia di paese ex-coloniale, di coppie miste ne ha viste e ne vede tante tutti i giorni, a partire da quella formata dall’amatissimo Senghor, il poeta-presidente, e sua moglie, francese, entrambi cattolici in un paese a maggioranza musulmana. Ma, a parte questo, i genitori di Amadou sono persone intelligenti e di cuore. Inizialmente sua madre, quando ha saputo della nostra intenzione di sposarci, ha avuto qualche remora, normale, credo, perché ha temuto che il matrimonio con un’italiana potesse allontanare da loro il figlio. Però ha lasciato fare, anche perché papà Amadou (lui è il vero Amadou, di cui mio marito ha voluto assumere il nome in Italia), invece, non ha mai avuto dubbi su di noi. Ricordo di aver parlato a lungo al telefono con suo padre, mentre preparavamo i documenti per il matrimonio, e che nel corso di quella conversazione gli promisi, senza essere stata da lui sollecitata a farlo, che mai avrei tentato di rompere il loro equilibrio familiare o di fare qualcosa che potesse allontanarlo da loro, anzi. E credo di aver mantenuto la mia promessa. Ma papà Amadou, che è un uomo che vede di gran lunga oltre quel che percepisce la gente comune, deve aver trovato le risposte che cercava nella mia voce, più che nelle mie parole. Adesso mi vogliono bene tutti e due. Mio marito ha anche due figlie, per le quali io sono una “zia”, anche con loro i rapporti sono cordiali. Non ci siamo ancora incontrate, e perciò non posso dirvi di più, ma io provo già affetto per le sorelle di nostro figlio Sheik Ibrahim. Rama, la più grande, verrà in Italia presto, cosa che mi rende felice, mentre la piccola vuole restare in Senegal.

Fra Amadou e Gianluca le cose vanno bene, perché fra loro c’è rispetto e sentimento. Ogni tanto si alleano pure contro di me, ma è normale. Gianluca è sempre stato un bambino dal cuore grande, e mi ha enormemente aiutato, nella mia decisione di risposarmi, sapere che lui era d’accordo. Davvero, non avevo bisogno di nessun altro parere. Il piccolo, nato dopo il matrimonio, è arrivato “violentemente” nella nostra vita (in “Se Dio vuole” raccontiamo come), e Gianluca si comporta con lui da vero fratello maggiore. Viviamo serenamente.

 

Amadou, come vi percepiscono gli italiani?

Questo bisognerebbe chiederlo a loro! Comunque, gli italiani che vengono ad ascoltarci alle presentazioni, ci capiscono. Gli altri… non so, abbiamo smesso di pensarci da molto tempo, ormai, mentre all’inizio gli sguardi ci mettevano a disagio. Devo dire che, quando usciamo con nostro figlio, che si auto-definisce “color cioccolata”, incrociamo sguardi di approvazione e credo che sia perché la nostra relazione, grazie a lui, è “chiara”, non lascia spazio ad equivoci. La gente, per lo più, incasella il mondo in griglie precostituite e sono proprio queste l’ostacolo più grande alla conoscenza reciproca. Contro il razzismo si può lottare facilmente, perché tutti s’indignano di fronte a un atto apertamente razzista, ma contro i pregiudizi sedimentati e socialmente condivisi, contro le fantasie e le paure inconsce, beh, lì diventa una battaglia persa in partenza. Speriamo che, almeno, le generazioni che stanno nascendo adesso, siano diverse: quando il tuo vicino di banco con gli occhi a mandorla o la pelle nera, che preghi a mani giunte o rivolto ad est, diventa il tuo migliore amico, allora è l’investimento emotivo che non permette al pre-giudizio di trovare terreno fertile. Noi speriamo, con fiducia, nelle generazioni che verranno e nella loro capacità di rifondare la società su immaginari nuovi. 

 

Buona Lettura dunque!

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