Salvini a Salerno: il razzismo degli antirazzisti
Editoriale a cura del Direttore Responsabile, Avv. Luca Monaco
[ads2] L’arrivo a Salerno del leader leghista, ormai prossimo a una svolta politica che gli consentirà di proporre il suo partito anche nel Sud Italia, è stato, come era prevedibile, foriero di accese diatribe e, forse, persino di qualche eccesso dialettico nel capoluogo campano.
Salvini, come illo tempore Berlusconi, è uno che lo si ama o lo si odia: tertium non datur!
La sua oratoria diretta e spiccia, avulsa da un più garbato politichese e da liturgie buoniste e perbeniste, è suscettibile di scaldare gli animi tanto dei sostenitori e di coloro che ne apprezzano le battaglie politiche quanto, in senso opposto, dei suoi detrattori, la cui abiura raggiunge il proprio livello apicale con l’immarcescibile e strumentale marchio di infamia: “È un razzista!”
Perché per i fautori del buonismo in “salsa italiana”, eccepire l’insostenibilità per il nostro Paese di una politica sull’immigrazione improntata a un’accoglienza senza limiti di sorta, dispendiosa sotto il profilo economico e sempre più rischiosa con riguardo alla sicurezza dei cittadini e al conseguente insorgere di focolai d’intolleranza reciproca, equivale a essere razzisti.
Ma ciò che, a mio avviso, è indicativo della strumentalità e del paradosso insito nelle accuse mosse a Matteo Salvini è il razzismo politico di cui sono vittime proprio quest’ultimo e tutti che coloro che osano manifestargli il proprio consenso.
Mi è giunta la notizia, da fonti certe e dirette, cheun giovanissimo ragazzo, in occasione dell’intervento del leader leghista a Palazzo di Città, e a seguito dello stesso, è stato oggetto di “attenzioni” a dir poco inurbane da parte di alcuni suoi coetanei, evidentemente più in sintonia con impostazioni politiche e ideologiche a lui antitetiche, “reo” di avere stretto la mano a Salvini e di essersi fatto un selfie con lui: pesanti insulti, spintoni e gravi minacce hanno scandito la disapprovazione dei suoi aguzzini “buonisti” e “antirazzisti”.
Ma ciò che mi ha più sorpreso (o, forse, no) è statol’intervento su di un blog locale di un signore il quale, mi è stato riferito, sarebbe docente presso un istituto superiore cittadino. L’articolo in questione è stato un susseguirsi di aggettivazioni, “leghista con la bava alla bocca”, “provocatore con la voglia di visitare i campi Rom”, “una destra, quella di Salvini, sempre più xenofoba e razzista, sostenuta dai fascisti e dai neonazisti di Casapound e Forza Nuova”, “una destra ancora più estrema di quella del Front National di Marine Le Pen”, “fascioleghista”. Insomma, un vortice di“etichette preconfezionate” con cui l’autore ha deciso in qualche modo di schedare i diretti interessati e di qualificarne soggettivamente la natura politica.
Il tutto condito con una inquietante (soprattutto se fosse vero che l’autore dell’articolo sia un docente)chiosa finale, facente seguito alla promessa di Salvini di fare prossimamente campagna elettorale a Salerno: “Lo aspettiamo”. Sia chiaro, non dubito dell’accezione assolutamente avulsa da intenzioni violente o comunque minatorie in senso stretto di tale ultima postilla. Tuttavia ritengo quantomeno inopportuno il ricorso a simili espressioni, facilmente equivocabili da chi, magari sprovvisto di un background culturale adeguato e istintivamente proteso alla violenza, possa in qualche modo recepirle come un incipit all’azione. Ma, soprattutto, l’articolo in questione mi è sembrato incoerente con i principi di tutti coloro che professano l’antirazzismo e imputano a Salvini l’utilizzo di una dialettica dura, secondo molti addirittura “becera”, suscettibile di generare odio razziale. Perché il razzismo, nelle sue innumerevoli manifestazioni e accezioni, si nutre e si estrinseca anche nella “fatwa culturale e politica” di cui spesso propri i presunti razzisti sono fatti oggetto.