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Maxi operazione antidroga, coinvolti operatori portuali di Salerno

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Maxi operazione antidroga, coinvolti operatori portuali di Salerno

La maxi operazione per contrastare le associazioni mafiose ha visto coinvolti i Carabinieri ed i Finanzieri: nel mirino anche operatori portuali di Salerno

In data odierna i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Salerno hanno eseguito due ordinanze di custodia cautelare emesse nell’ambito del medesimo procedimento dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia nei confronti di 11 soggetti (nei confronti di nove dei quali il Gip ha disposto la custodia cautelare in carcere, gli altri due disponendone gli arresti domiciliari) ritenuti promotori o affiliati o agevolatori di una nuova associazione mafiosa armata, il clan Batti, operante nei comuni di San Giuseppe Vesuviano, Terzigno e zone limitrofe. Gli 11 soggetti risultano indagati, a vario titolo, per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione illegale di arma da fuoco, estorsione e violenza privata, aggravate dal metodo mafioso e dallo scopo di favorire il clan Batti. La prima ordinanza di custodia cautelare trae origine da un’attività di indagine svolta tra la fine del 2013 e la fine del 2014 dal Nucleo Investigativo di Torre Annunziata e focalizzata sull’esistenza e operatività del nuovo clan, dedito, prevalentemente, al commercio di stupefacenti (cocaina, marijuana ed hashish) e strutturato intorno alla famiglia Batti, in particolare ai fratelli Batti Alfredo, Luigi e Alan Cristian, detti “i milanesi”, la cui storica estrazione criminale deriva dal padre Batti Salvatore, ucciso in un agguato di stampo mafioso nel dicembre 1990.

Nel corso delle indagini è emerso come il clan si imponesse sul territorio attraverso azioni punitive e ritorsive nei confronti di terzi entrati in contrasto per il mancato pagamento delle forniture o per sconfinamenti territoriali. Il contrasto alle forze dell’ordine era attuato attraverso il monitoraggio del territorio (cosi da scongiurarne l’eventuale intervento), l’utilizzo di canali di comunicazione dedicati (i cd. “telefoni della fatica”), la realizzazione di appositi locali ove nascondere armi e stupefacenti accessibili soltanto attraverso apposita strumentazione, la dotazione di un vasto parco di autovetture utilizzate in via esclusiva per gli affari illeciti ed il continuo cambio di utenze degli indagati, per lo più intestate a stranieri o a terzi estranei ai fatti o a nomi di fantasia. Ulteriori precauzioni erano adottate dal capo clan, soggetto di particolare ferocia anche nei confronti dei suoi sodali, il quale non veniva quasi mai contattato telefonicamente dagli altri indagati, ma effettuava la maggior parte delle comunicazioni attraverso F. M. N., sua longa manus, che riportava il suo volere agli altri soggetti e viceversa. Le attività di indagine hanno consentito di individuare in B. A. il capo indiscusso dell’associazione. 

Ad alcuni soggetti destinatari del provvedimento di sequestro preventivo, benché non colpiti da provvedimenti cautelari personali, è stata riconosciuta la gravità indiziaria per i reati contestati, poiché ritenuti estranei all’organizzazione criminale. L’analisi della capacità reddituale dei singoli indagati e dei propri nuclei familiari presentava una evidente sperequazione tra il valore dei beni acquistati ed i redditi dichiarati, frutto del reimpiego degli illeciti profitti scaturiti dalle molteplici attività delittuose messe in atto dagli indagati, contestualmente alla loro partecipazione al sodalizio criminoso localmente denominato “clan Batti”, ovvero rispettivamente commesse avvalendosi del metodo camorristico. I provvedimenti reali cristallizzano l’effettiva e perdurante esistenza nonché la penetrante operatività dell’associazione camorristica menzionata, ed in particolare evidenzia la specifica vocazione dell’organizzazione al traffico di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. La seconda ordinanza di custodia cautelare deriva da un’ulteriore attività investigativa svolta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Salerno sotto la conduzione della locale D.D.A. – successivamente trasmessa per competenza al paritetico organo distrettuale di Napoli – e ha evidenziato la capacità del sodalizio criminale di approvvigionarsi di considerevoli quantità di droga. In tale contesto è stato dimostrato come nelle operazioni di approvvigionamento illecite siano stati coinvolti finanche operatori portuali di Salerno, incaricati dal gruppo camorristico nel gennaio 2015 di agevolare l’uscita da quel porto di un container frigo proveniente dall’Ecuador con un carico di banane, che però celava all’interno del vano motore un grosso carico di stupefacente. In quell’occasione due dipendenti di una società di spedizione non sono riusciti a recuperare la sostanza stupefacente a causa di inaspettate complicazioni burocratiche e il container, svuotato delle sole banane, è stato reimbarcato su una nave diretta a Rotterdam. Una volta giunta nel porto olandese, la nave veniva sottoposta a perquisizione grazie ad apposita segnalazione dei Finanzieri del GICO di Salerno, consentendo così di rinvenire e sottoporre a sequestro, ancora occultati nel vano motore, 40 chili di cocaina per un valore stimato di circa euro 1.200.000,00. La perdita dell’ingente carico generava la reazione adirata di A. B., che pretendeva di essere risarcito da tutti i soggetti ritenuti responsabili del mancato recupero della sostanza stupefacente. Le successive pressioni e minacce – perpetrate sia attraverso pestaggi, sia con l’esplosione di colpi d’arma da fuoco – costringevano uno degli indagati a vendere la propria abitazione per consegnare al capo dell’organizzazione il denaro perso.

Nel medesimo contesto operativo, i Finanzieri del Comando Provinciale di Salerno hanno dato esecuzione ad un decreto di sequestro, fino ad un valore di circa euro 2.500.000, finalizzato alla confisca di beni mobili e immobili riconducibili agli indagati, in capo ai quali è emersa una notevole sproporzione tra i redditi dichiarati e l’effettiva situazione patrimoniale, ricostruita con il supporto del Servizio Centrale Investigazione sulla Criminalità Organizzata (SCICO) della Guardia di Finanza.