Un progetto espositivo tra passato e presente della Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino
Incursioni contemporanee è una iniziativa della Soprintendenza ABAP di Salerno e Avellino diretta da Francesca Casule che mette in relazione passato e presente, memoria e narrazione, testimonianze lontane e future, attraverso lo sconfinamento, in uno spazio antico, quello del Complesso Monumentale di San Pietro a Corte di Salerno. L’ idea è quella di mettere in scena possibili relazioni tra l’antico e l’attuale, ragionando sulle confluenze e le relazioni tra la storia di ieri e quella di domani.
Il progetto, a cura di Alessandro Demma, si propone come un transito critico tra gli emblemi della cultura passata, la stratificazione del luogo e le avventure dell’arte di Marisa Albanese, Lello Lopez, Paolo Grassino. Le opere si presentano, così, come un intervento di rottura, di trasformazione, un’archeologia del sapere che, come ci ha insegnato Michel Foucault, diventa strumento di analisi dei concetti di frattura e di limite che valgono come fondazione e rinnovamento delle fondazioni. Tre mostre personali, della durata di 20 giorni l’una, si alternano come un “teatro delle arti” per dialogare con la memoria dello spazio ipogeo di San Pietro a Corte.
L’inaugurazione domenica 24 ottobre alle 12 con Marisa Albanese con visite fino all’11 novembre, si proseguirà con Lello Lopez, inaugurazione sabato 13 novembre alle ore 12 esposizione fino al 2 dicembre, ed infine con Paolo Grassino, inaugurazione sabato 4 dicembre ore 12 con apertura fino al 26 dicembre 2021. Il Complesso Monumentale di San Pietro a Corte si trova nel centro storico di Salerno, larghetto San Pietro a Corte. Aperto dal martedi alla domenica ore 10,00 alle 18,30. Ingresso gratuito.
Lo spazio ipogeo di San Pietro a Corte, carico di memoria, di storia, di esistenza, si confronta con i rituali e i linguaggi dei tre artisti, che affrontano alcuni dei temi più significativi che accompagnano la nostra epoca, diventando un luogo di incontro, di scambio di riflessione e di critica. La mostra si muove in un complesso labirinto fatto di corpi, immagini, segni e simboli, per aprire un dibattito, una riflessione sul sé e l’altro da sé. L’arte, infatti, è una pratica di linguaggi che per non imprigionarsi nel proprio microcosmo si apre all’altro da sé, come ha sostenuto Filiberto Menna alludendo alla tensione dell’arte verso la scoperta di percorsi inediti del reale.
L’opera d’arte, sostiene ancora Menna, “è soprattutto fondazione di un nuovo universo del significato, non un’analisi del già noto: per cui essa si colloca all’incrocio tra un momento semiotico, che dà il quadro esatto della situazione del codice nell’atto in cui viene realizzata, ed un momento ermeneutico di scoperta di nuovi ambiti di realtà”. L’arte diventa, così, il simile e il dissimile, il guardare l’altro da sé per riconoscere e conoscere se stesso.
Tre esperienze differenti vivono in uno spazio in cui convivono il reale, l’immaginario e il simbolico, una complessa struttura che, parafrasando il pensiero strutturalista di Gilles Deleuze parte da un punto originale in cui il linguaggio si fa (l’immagine ideata dall’artista), l’opera si elabora (la visione realizzata dall’artista), le idee, il pensiero e le azioni si annodano (la proiezione simbolica dello sguardo esterno dello spettatore).
La mostra gioca, così, sui possibili incroci di chi, attraverso differenti visioni, tecniche e linguaggi, scongela il tempo per farlo scorrere in modo fluido nell’opera. È proprio il concetto di temporalità che governa le opere presenti in mostra, una temporalità che tesse una trama sulla “memoria” intesa come riflessione e analisi verso gli eventi e le esperienze del passato, l’evoluzione e il vissuto del tempo presente, la ricerca e la costruzione di una possibile memoria futura.
Tre appuntamenti espositivi scandiscono, dal 24 ottobre al 26 dicembre 2021, un “teatro dell’arte” che si presenta come laboratorio culturale ricco di interferenze, di corto circuiti tra passato, presente e futuro. Il progetto Incursioni Contemporanee diventa il viatico attorno al quale costruire un ponte, una relazione spazio-temporale, tra la memoria e la storia di un luogo e e la “materia e memoria” (Bergson) del tempo presente, con un importante possibilità di attività educative che possano stimolare le relazioni tra il territorio e la visione eterotopica dell’arte contemporanea.
Marisa Albanese
Il viaggio, lo spostamento, l’alterazione delle latitudini e longitudini fisiche e mentali, la percezione di uno spaesamento che definisce nuove storie, nuove narrazioni, sono questi i cardini su cui Marisa Albanese, ripercorrendo le vite degli altri, s’interroga sulla dimensione umana del nostro tempo, sulla condizione antropologica e sociologica dell’esistenza, sulla misura del tempo e dello spazio in cui si muovono, per usare un termine caro a Georg Simmel, le “oscure esistenze” e al contempo figure “eroiche” pronte a combattere.
Quello costruito dall’artista napoletana è un “dedalo” visivo ed esperienziale che definisce una “svolta iconica” intesa come riconoscimento della valenza antropologica e sociologica dell’immagine, come un corpus narrativo del tempo e dell’esistenza attuale che, utilizzando una molteplicità di linguaggi – installazioni, video, sculture, libri d’artista – indaga con lucidità, fermezza estetica e grande valore intellettuale le condizioni metatemporali dell’essere umano.
L’artista intraprende, infatti, un viaggio tra corpi d’esistenza evocato da un abile utilizzo delle forme e della materia, i cui temi ricorrenti sono la letteratura, la storia, l’attualità, la condizione umana, sempre indagati con lucidità e attenzione, con grande senso etico ed estetico e forte impatto emotivo per lo spettatore. L’opera, così, prende forma e sostanza, stabilisce le regole di una posizione politico-culturale decisa e critica, si fa corpo, un “guscio d’esistenza” che enfatizza l’essenza del pensiero di Marisa Albanese, quello di un’instancabile Combattente dell’arte.
Lello Lopez
Un infinito universo di immagini e oggetti, di figure e materiali, che si alternano, si intrecciano, che dialogano nello spazio dell’opera di Lello Lopez. Le riflessioni attuate dall’artista viaggiano su frequenze intermittenti, mettendo in scena un cortocircuito visivo e di senso che disorienta, spiazza lo spettatore e lo conduce sui sentieri della memoria, del tempo e dello spazio. È proprio sul rapporto con lo spettatore e la sua visione che si gioca il finale di partita fondamentale di Lello Lopez; il confronto tra uno spazio e una situazione reale con l’impercettibile smarrimento che una realtà altra, o una circostanza banale mette in discussione, in crisi.
Quello di Lopez sembra essere un viaggio fra labirinti d’immagini, di segni e simboli che animano l’universo della vita, un mondo in cui, passo dopo passo, in un esercizio sempre in bilico fra realtà e finzione, viene rappresentata, usando un’espressione cara a Jean Baudrillard, la “verità alterata”.
L’universo realizzato da Lello Lopez è un luogo mai concluso di un “processo” alle immagini e agli oggetti, uno spazio teorico e fisico, in cui le immagini, oggetti, simboli, possono assumere un nuovo significato, nuova voce e nuova attualità; un universo che è giocato sul concetto di simulazione e che mette in causa la differenza tra il “vero” e il “falso” tra il “reale” e l’”immaginario”, sviluppando situazioni che creano “effetti di visione” che affascinano, seducono, inquietano, attraggono gli occhi dello spettatore e li incatenano all’opera.
Paolo Grassino
Dramma, sconcerto, irrealtà, disorientamento, violenza, suggestione, crudeltà, solitudine, e ancora inquietudine, turbamento, stupore, sono i “temi perenni” che avvolgono e attraversano le opere di Paolo Grassino, le strutture di un’architettura umana e oggettuale che l’artista costruisce con sapienza e coscienza sul suo tormentato palcoscenico dell’arte. Nelle opere dell’artista torinese, la materia, il linguaggio e il pensiero affondano le radici nel vivo dell’intimo e della profondità della vita. Una costante ricerca sul significato dell’esistenza in cui Grassino ha sapientemente distillato la natura e l’artificio, la cultura letteraria e quella metropolitana, mettendo in scena una pièce che recita il dramma degli opposti: reale/immaginario, conscio/inconscio, luce/buio, rumore/silenzio, divenire/degenerazione, organico/inorganico.
Il “corpo dell’arte” di Paolo Grassino è, per dirla con Nancy, “kaosmos: la nascita continua, l’agitazione, l’inquietudine, la pena e la gioia, l’incoscienza viscerale, il desiderio, il tocco dell’aperto, il godimento che è al cuore della dialettica di una diastole senza sistole, di un’apertura senza chiusura”. E qui si situa il vero senso ontologico dell’estetica dell’artisti, in questo corpo a corpo con la conoscenza, con la ricerca, con l’analisi, con la dischiusura del finito nell’infinito, con la volontà di indagare lo spazio della materia per costruire strutture di senso e di apparenza, superfici a volte reali a volte immaginifiche di una narrazione sempre attenta alle forme del tempo.