Far riemergere il Velella dalle profondità del mare e del silenzio della storia: per i fondatori dell’Associazione Salerno Capitale è un “dovere morale”
[ads1]Far riemergere il Velella, il sommergibile del Regio Esercito che detiene il triste primato di essere stato l’ultimo sommergibile italiano perduto nella guerra contro gli Alleati.
Questa l’iniziativa di Vincenzo Pellegrino ed Angelo Avallone, fondatori dell’associazione Salerno Capitale (qui la pagina Facebook e qui il sito).
I due salernitani, hanno da mesi avviato una campagna di sensibilizzazione avente ad oggetto le peculiarità storico-culturali di Salerno e della sua Provincia, perché sarebbe impensabile rispettare il territorio senza un substrato culturale che l’associazione, seguita da centinaia di utenti, si prefigge di fornire.
“Soltanto conoscendo la storia è possibile rispettare e far rispettare Salerno e la sua Provincia; e questo è l’obiettivo che, con grande sacrificio e attraverso una squadra consolidata composta da esperti del settore, stiamo perseguendo. Qualcuno ci chiede perché lo facciamo. Lo facciamo perché amiamo il nostro territorio: è il minimo che possiamo fare per promuoverlo e, al contempo, tutelarlo”, le parole di Vincenzo Pellegrino.
Sulla stessa lunghezza d’onda Angelo Avallone: “Talvolta, quelle che ci sembrano semplici pietre nascondono al loro interno secoli di storia. Ma come si può esigere il rispetto per il territorio se nessuno conosce la storia dello stesso?”.
Ma questa volta la loro iniziativa prescinde dal capoluogo di provincia ed è quanto mai utopistica: far riemergere il Velella che fu silurato dal sommergibile britannico Shakespeare al largo di Punta Licosa.
Tutto l’equipaggio, il comandante Patané, 5 altri ufficiali e 44 fra sottufficiali e marinai, scomparve con il sommergibile.
Nel corso degli anni vani sono stati i tentativi di far riemergere il Velella.
“È una operazione utopistica, ma noi ci crediamo – affermano Pellegrino ed Avallone – Si trova a 8,9 miglia da Punta Licosa, a circa 138 metri di profondità: al suo interno giacciono ancora i corpi dei soldati morti per la nostra patria. È giunto il momento di andarlo a ripescare. L’Italia si vanta di avere grossi mezzi militari in grado di recuperare relitti a più di 300 metri di profondità, pensiamo ad esempio alla nave Anteo, dotata di un minisommergibile attrezzato a questi scopi: il Velella è a soli 138 metri. Forse le reali motivazioni sono altre. Il Velella fu silurato ad armistizio già firmato, forse la paura è quella di ritrovare carte di bordo “scomode”. Sta di fatto che, a più di 70 anni di distanza, è incredibile come, malgrado le numerose iniziative, nessuno abbia accolto le istanze di chi vuole soltanto dare degna sepoltura ai propri caduti. E pensare che americani ed inglesi vengono ancora qui a ricercare i loro dispersi. Noi, che ce li abbiamo a 138 metri di profondità, non muoviamo un dito”.
Ma ancora: “Il recupero del Velella potrebbe essere il momento propizio per l’apertura di una mostra permanente sull’operazione alleata, si potrebbe esporre il sommergibile o quel che ne resta. Si potrebbe, una volta e per tutte, realizzare quell’opera di informazione cui auspichiamo. Noi ci proveremo. Coinvolgendo tutte le forze politiche e tutti gli organi necessari. È un dovere morale, ce lo chiede chi è, ancora oggi dopo più di 70 anni, a poche miglia dalla costa in attesa di una degna sepoltura”.[ads2]