Pubblicata nel 1911, la novella Il compimento dell’amore di Robert Musil, all’epoca già autore de I turbamenti del giovane Törless, ebbe scarso successo, non da ultimo per la complessità che, dietro un tema apparentemente semplice, celava fondamentali problemi filosofici
C’è un testo di Robert Musil che, per la sua brevità, sembrerebbe non poter essere scaturito dalla stessa penna che ha prodotto L’uomo senza qualità; tuttavia, non appena si dà inizio alla lettura, ci si rende conto che l’inconfondibile marchio di fabbrica è inequivocabilmente presente anche in questo scritto.
Il compimento dell’amore, recita il titolo, ma della banalità di taluni racconti d’amore questa novella ha ben poco, per non dire nulla; il legame che intercorre tra la protagonista, Claudine, e l’uomo amato, sembrerebbe quasi una maschera che consente, però, di intravedere questioni di più ampia portata.
L’occasione di un viaggio, il temporaneo distacco dal compagno di vita danno modo a Claudine di percepire tutta l’accidentalità della sua condizione di compagna di quell’uomo soltanto: è la casualità che nessuno vorrebbe mai ammettere, quella della scelta dell’amore.
Proprio questa ferma percezione del caso dietro ogni apparente necessità si fa strada sempre più viva nello scritto di Musil, supportata dall’evocazione di un passato personale della protagonista radicalmente differente rispetto al presente. L’instabilità, l’assenza di scelte esclusive caratterizzava la vita precedente, la stabilità del legame sembrerebbe la prerogativa del presente.
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Ma a restituire il presente all’instabilità giunge la prospettiva del tradimento, non necessario, né supportato da un sentimento forte: è il fascino della possibilità che seduce la protagonista, la possibilità di essere altro, se non addirittura nulla di determinato. Ogni presa di posizione, ogni imposizione della volontà che si orienta in una direzione piuttosto che in un’altra appare quanto mai evanescente e priva di ragione.
Ciò che descrive Musil va ben al di là del semplice mettere in dubbio la scelta di un compagno di vita, lo scrittore è infatti capace di far sì che ci si apra davanti l’abisso dell’incoerenza della personalità e della vita di ogni individuo; “Si incide una linea, una linea qualsiasi semplicemente continua, per aggrapparsi a se stessi in mezzo all’esistenza delle cose che da essa si erge muta; questa è la nostra vita; qualcosa come quando si parla senza interruzione e si finge con noi stessi che ogni parola sia legata alla precedente e richieda la successiva, perché si teme di barcollare in qualche inimmaginabile modo e di essere dissolti dalla quiete nel momento del silenzio lacerante; ma è solo paura, solo debolezza dovuta alla casualità di tutte le nostre azioni che si spalanca tremenda”.
Ciò che si rivela, non senza tormento, alla protagonista del breve scritto di Musil, così come si rivelava anche al giovane Törless, è l’impossibilità dell’uomo tutto d’un pezzo: tracciare quella linea retta dall’inizio alla fine della vita è rassicurante quanto ingannevole e, a guardarla da vicino, questa linea si sfibra, mostra insospettabili lacerazioni e tentativi di ricucitura più o meno riusciti.
Alla fine il tradimento si compie ed è il trionfo della casualità, un puro gioco con la possibilità e all’uomo che le chiede se per lui provi amore, Claudine risponde: “No, amo il fatto di essere con lei, il fatto, il puro caso che io sia con lei”.
Paradossalmente per Musil il compimento dell’amore si concretizza con l’infedeltà, “Quel poter esistere come per tutti e tuttavia solo per uno”.