Puozze passà nu guaio, pubblicata per la prima volta da Pino Daniele nell’album Nero a metà del 1980, è una canzone breve ma dalla straordinaria intensità. Questo brano si potrebbe benissimo ascrivere alla categoria delle “liriche dell’abbandono amoroso” che tanto spazio hanno trovato e trovano tutt’ora nel mondo della musica e nell’arte in generale.
Il pezzo, d’atmosfera tipicamente blues, è una sorta di lunga recriminazione dell’autore nei confronti dell’amata fuggita via: recriminazioni legate, com’è ovvio che sia, alla sfera sentimentale e ideale e che ci presentano il cantante come annichilito, nello spirito e nel corpo, dall’amore perduto, descritto come impossibilitato a vivere o, nella migliore delle ipotesi, come uno che vive distrattamente:
Puozze passà’ nu guaio / p’o mmale ca me faje / pecchè me faje fesso / e nun pozzo campà’.
Puozze passà’ nu guaio / perché mi hai distrutto / oggi compro quasi tutto / ma nunn’o voglio fa’.
Puozze passà’ nu guaio llà / Puozze passà’ nu guaio llà / addò nun coce ‘o sole.
Puozze passà’ nu guaio / perché sei senza cuore / di notte fai rumore / e nun pozzo durmì’.
Puozze passà’ nu guaio / perché mi spogli nudo / mi vesti di velluto / ma poi me faje spuglià’.
Puozze passà’ nu guaio llà / Puozze passà’ nu guaio llà / addò nun coce ‘o sole.
Puozze passà’ nu guaio niro / addò nun coce ‘o sole.
Un amore vissuto, dunque, in chiave totalizzante e, proprio per questo motivo, il momento del successivo abbandono non poteva non essere sulla stessa lunghezza d’onda; anch’esso assolutizzante, come un qualcosa che tutto ingloba dentro di sé.
La napoletanità a cui ci siamo riferiti nel titolo dell’articolo non allude tanto o non solo ad un particolare modo di sentire e intendere il sentimento amoroso ma, piuttosto, a come ci si rapporta alla fine di un amore. Infatti l’espressione che Pino Daniele ha posto come titolo del brano, puozze passà nu guaio, è da intendersi sì come un malaugurio ma, si potrebbe dire con espressione musicale, in “tono” minore: molte difatti sono le espressioni del dialetto napoletano, e generalmente campano, che possono essere utilizzate per maledire scherzosamente e affettuosamente il proprio interlocutore, verso il quale si dimostra, appunto, l’esistenza di un sentimento.
Dunque l’artista ha voluto rifarsi alla dimensione “leggera” dell’espressione, come a voler sottolineare che per lui ciò che lo legava alla donna scappata era e resta un qualcosa di troppo forte per poterla “maledire” nel vero e proprio senso della parola: la memoria positiva dell’amore che vi è stato si unisce all’amarezza del momento attuale e trova la sua compiuta definizione nel titolo del brano.
Musicalmente il pezzo appartiene, come detto sopra, al genere blues ed è, secondo il canone del genere stesso, povero, stringato, essenziale: l’unico strumento in rilievo è la chitarra solista che pare dare forza e risalto ai versi, bruciare, propriamente, la materia e porsi, dunque, come una sorta di “voce” che dialoga con il cantante, evidenziando, con la forza degli assoli, la parte testuale della canzone.
Puozze passà nu guaio si pone, quindi, come un esempio perfetto di come Pino Daniele ha voluto intendere il blues: nei confini del genere, sempre magistralmente interpretato, l’artista ha voluto lasciare il suo contributo conferendo al blues stesso una forte impronta mediterranea e, andando più nello specifico, spiccatamente napoletana.