Il progetto “Pompei on Line”, presentato alla XVII Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, prevede un continuo “monitoraggio civico” per prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti
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Il “Grande Progetto Pompei” sarà tutto on line, accessibile a chiunque: un continuo, ininterrotto “monitoraggio civico” per prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata, episodi di malversazione e corruzione negli appalti, lievitazioni improvvise e sospette dei costi. E’ una “rivoluzione” che sta dando i suoi frutti: come ha rivelato la dottoressa Paola Buttiglione dello staff di “Open Pompei” intervenendo al workshop “Archeo Open Data Forum: trasparenza e riuso dei dati in archeologia”, sui 14 cantieri aperti il direttore generale del “Grande Progetto”, Giovanni Nistri, ha già segnalato alcune situazioni anomale in un rapporto inviato recentemente alla Prefettura di Napoli.Imprese precedentemente “attenzionate” dalla stessa prefettura e dalla magistratura, ma che erano riuscite lo stesso a inserirsi nelle gare e non sono sfuggite al “setaccio” facilitato dal web.
L’operazione “trasparenza” varata dal Soprintendente per i Beni Archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia, Massimo Osanna, rientra nel programma di digitalizzazione pressoché integrale di tutto ciò che riguarda la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio circa 2000 anni fa. Ad illustrarlo è stato lo stesso Osanna: “Oltre al portale della trasparenza, presto metteremo on line tutto il patrimonio fotografico di cui disponiamo: 17 mila pezzi. Ma l’impresa più grossa sarà quella relativa alla digitalizzazione integrale del materiale cartaceo accumulato dall’Ottocento in poi. Due progetti – ha rivelato Osanna – che sono in una fase molto avanzata di realizzazione. Il terzo passo, sarà la creazione di un database che riproduca l’intero patrimonio di manufatti che giace nei magazzini”.
Gli open data, cioè la libera circolazione sul web e l’utilizzabilità piena dei dati in archeologia sono ormai una realtà, incentivata dall’Unione Europea, particolarmente prodiga di finanziamenti per la creazione di nuove infrastrutture virtuali di diffusione e valorizzazione dei beni culturali, che lo stesso MIBACT cavalca finalmente con decisione. Anna Conticello, della segreteria generale del Ministero, ha sottolineato i tre processi “virtuosi” che la diffusione degli open data, legati al concetto di “archeologia bene comune”, genera: “Nuovi impulsi alla ricerca, sviluppo di imprese creative, nascita di nuove professionalità”. Nonostante le “resistenze culturali” che bisogna ancora fronteggiare, come ha voluto sottolineare il Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici, Giuliano Volpe, la strada è ormai tracciata.
Nel corso del workshop, che ha avuto come ospite d’onore non un archeologo, ma “l’incursore del web” Luca Corsato, creatore del sito “beniculturaliaperti.it” da cui è partita la slavina destinata a travolgere le vecchie modalità di diffusione della conoscenza in campo archeologico, sono state presentate alcune best practices: il sistema Sitar, messo a punto già nel 2007 dalla Soprintendenza di Roma, illustrato da Mirella Serlorenzi, e il Mappa, adottato da quella di Pisa, e raccontato da Maria Letizia Gualandi. Al workshop, introdotto e moderato da Gabriele Gattiglia, dell’Università di Pisa, hanno portato il loro contributo anche la consulente del ministro Franceschini Vania Virgili, Daniela Vellutino dell’Università di Salerno e Emmanuele Curti, archeologo dell’Università della Basilicata, che ha sottolineato l’importanza avuta dagli open data nella designazione di Matera a capitale europea della cultura 2019. Le conclusioni sono state tratte da Anna Maria Buzzi, della Direzione generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale del MIBACT.