Per la rassegna “Shoah, raccontare per ricordare” Piero Terracina con la sua storia. Presenti i bambini della quinta elementare di Calvanico con “Il sorriso non c’è più“
Piero Terracina, nato nel 1928 a Roma, è un pensionato con una storia importante da raccontare. Egli è uno dei sopravvissuti al campo di concentramento di Auschwitz dove, per le sue origini ebraiche, fu deportato insieme alla sua famiglia. Davanti a un pubblico vario composto di alunni delle scuole elementari, medie e superiori, oltre a studenti e interessati all’argomento, è stato ospite, ieri 5 marzo, all’Unisa per il terzo appuntamento della rassegna Shoah, raccontare per ricordare.
Ad aprire l’incontro ci sono i bambini di Calvanico, della classe V B della Scuola Elementare Rubino Nicodemi, che hanno scritto una poesia per Piero Terracina e, con enfasi e orgoglio, gliela dedicano. Attraverso il componimento Il sorriso non c’è più, mostrano di aver capito che il vero senso di un evento tragico come la deportazione ad Auschwitz è la morte, anche per chi sopravvive, della cosa più semplice e vera: il sorriso.
A testimoniare c’era anche Patrizia, nipote del Dott. Vittorio Sacerdoti, che di fronte al ghetto di Roma, presso l’attuale ospedale Fatebenefratelli, svolgeva il suo lavoro salvandosi dalla deportazione, mentre sua zia Sara con la famiglia scelse, seguendo gli ideali sionisti, la strada per la Palestina.
Piero Terracina è la memoria di una grande tragedia e la sua testimonianza al Teatro di Ateneo è stato un “riconoscimento da dedicare a tutti coloro che non hanno potuto testimoniare, a quelli che, toccando il fondo dell’abisso non sono tornati“. Comprensibilmente commosso, Piero Terracina dedica a sua madre la sua testimonianza da sopravvissuto e invita i bambini a studiare. Come gli consigliava sua madre, apparendo il nonno di tutti i bambini presenti, dice più volte: “Per riuscire nella vita è necessario riuscire a scuola“.
Non negando il rischio di riavere una nuova Auschwitz, Terracina sostiene che il discorso è molto complicato perché riguarda l’esistenza in un paese delle minoranze. Quando, infatti, ci sono delle difficoltà, le colpe vengono sempre attribuite alle minoranze, a cui è negata la possibilità di difendersi. Nonostante gli ebrei siano ancora oggi una minoranza, sono considerati – secondo Terracina – “fuori pericolo” rispetto a zingari, rom e sinti, ma soprattutto rispetto agli immigrati disperati che muoiono in mare per raggiungere le nostre coste. Rivolgendosi a tutti, ma in particolare ai bambini della scuola elementare, dice con voce ferma e saggia: “Uno dei valori che dovete fare vostro è quello dell’accoglienza“.
Della sua famiglia composta di otto persone lui è l’unico sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz e, da quando è andato in pensione, dedica il suo tempo alla testimonianza: “Per fare memoria, non per ricordare. Mentre, infatti, il ricordo si esaurisce con la morte di chi ricorda, la memoria entra a far parte di noi per non far ritornare mai più questo passato”.
Non sentendosi di raccontare l’orrore delle sue giornate da deportato, definisce con semplicità il campo di sterminio come “Il luogo dove chi arrivava non poteva morire, ma doveva morire“. Rivolgendosi ai bambini li invita, in futuro, a cercare di capire come è stato possibile; ai grandi, inducendoli alla riflessione personale e intima, chiede: “Come è potuto accadere che persone intelligenti e amanti delle arti abbiano costruito i campi di concentramento?“
La sua risposta è che questo è stato possibile perché nella storia ci sono dei momenti in cui si capovolgono le cose, durante i quali, ad esempio, obbedire agli ordini diventa negativo se il comando è uccidere un’altra persona. Per evitare questo bisogna interrogare sempre se stessi e riflettere su cosa, per la nostra coscienza, sia giusto o sbagliato.
L’invito di Piero Terracina, prima di ricevere la pergamena della poesia composta dai bambini di Calvanico, è quello alla ribellione e alla riflessione. Con la lettura del componimento, commosso e commuovendo il pubblico, prima fra tutti, Assunta Palmieri, la maestra che ha guidato la classe in questa esperienza educativa, Terracina chiude la sua testimonianza all’Università di Salerno.
Dopo la testimonianza di Piero Terracina con la petizione di Marco Cavallarin Perché duri la memoria di Sciesopoli, è stata presentata al pubblico una storia quasi sconosciuta. A Sciesopoli di Selvino, colonia voluta dal Fascismo in Val Seriana degli anni ’30, utilizzata poi come centro di accoglienza e istituto per centinaia di bambini ebrei sfuggiti alla morte e provenienti da tutta Europa, oggi si vuole cancellare il passato costruendo un villaggio turistico, villette a schiera e una Spa. Visti, inoltre, gli eventi antipatici degli ultimi tempi nei confronti dei sinti avvenuti a Selvino, dove “Sta succedendo che si sono dimenticati la loro storia“, la petizione di Cavallarin serve a salvare la memoria dell’antica amicizia e accoglienza che ha contraddistinto la città, ma soprattutto della rinascita di bambini sopravvissuti alla morte e ritornati alla vita e ai giochi a Sciesopoli.
Con Beatrice Benocci e il suo intervento su I luoghi non luoghi della memoria, s’insiste, inoltre, sulla necessità di trasformare la memoria in processo educativo per la convivenza civile in una società multietnica e multireligiosa.
Anche se, come hanno recitato i bambini di Calvanico “Il sorriso non c’è più” per i superstiti della Shoah, la memoria è lo strumento educativo che le generazioni possono utilizzare affinché l’orrore di Auschwitz non si ripeta mai più!