“Perez”, la scomoda verità di un difensore d’ufficio fra realtà e fantasia
[ads2]La pellicola firmata dal regista emergente Edoardo De Angelis ha fatto un viaggio nel mondo oscuro ed evanescente dei difensori d’ufficio in quel di Napoli.
“Funziona così: se non ti puoi permettere un avvocato di fiducia, te ne viene assegnato uno d’ufficio; se poi il caso è ‘rognoso’ ci sono io”.
Demetrio Perez (Luca Zingaretti) è un avvocato penalista che non avendo uno studio legale alle spalle si trova a trattare casi di qualsiasi tipo e crudeltà. Il Professore e Avvocato Dalia, a questo proposito, confessò che per onore non accettava difese di fiducia di coloro che ad esempio fossero indagati o imputati di trucidi assassinii familiari. Questa è anche una delle differenze fra un avvocato libero e uno d’ufficio. Il secondo non può sceglierseli i clienti.
Secondo il codice di procedura penale, articolo 97, “Difensore d’ufficio”: “L’imputato che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore di ufficio”. Inoltre, il difensore può farsi sostituire da un collega anche prontamente reperibile, ma se rinunzia alla difesa può incorrere in sanzioni sia giudiziarie che disciplinari del Consiglio dell’Ordine. Quando però deve portare a termine la difesa per i meno abbienti può fare richiesta di “Gratuito patrocinio” e farsi pagare dallo Stato.
“Perez”, in sintesi, racconta la verità delle vite di molti avvocati penalisti che si sono trovati a dover sbarcare il lunario oppure che semplicemente si sono trovati in questa condizione per dir così di vassallaggio. Per farsi pagare dallo Stato, difatti, spesso trascorrono diversi mesi e non è poi una novità che gli avvocati siano diventati in generale una delle classi più povere del Paese. Quando Demetrio va a casa dell’amico e collega suicida trova un appartamento del centro direzionale, dove vive anche lui, ma in modo molto più dignitoso, sommerso di faldoni in un disordine a dir poco schifoso.
L’Avvocato Perez, in effetti, non è povero, ma certamente non fa una vita agiata e si trova quindi a massimizzare tutti i propri sforzi per sopravvivere in mezzo ad altri colleghi blasonati che, con uno stuolo di gente, passeggiano placidamente nei corridoi del Tribunale di Napoli. In ogni caso, egli non è un giovane professionista, anzi ha una lunga carriera alle spalle e ha collezionato difese di molti ed efferati criminali: camorristi, stupratori, assassini e preti pedofili che passa brevemente in rassegna all’inizio del film.
Ad un certo punto però raggiunge il limite. La figlia s’innamora di un giovane e fascinoso criminale e dopo essere stato cacciato di casa da lei viene assalito da due scugnizzi di notte nel centro direzionale e lì decide di ribellarsi al suo destino fatto fino ad allora di un contegno distinto e signorile. Dopo essersi fatto corrompere da un capo clan pentito in cambio di pietre preziose per un valore di molti milioni di euro, anche per aiutare forse in modo discutibile la figlia volendone far eliminare giudiziariamente il fidanzato dal boss, va subito a ordinare una Bmw chic di media cilindrata. E non a caso viene scelto dal collaboratore di giustizia: egli è appunto corruttibile ed è, allo stesso tempo, così confuso al punto che viene colto da un ripensamento quasi a voler salvare lo spasimante della figlia.
In questa storia, altresì, il protagonista per la metà del film è così ormai saturo dalle assurdità del suo lavoro che a volte nemmeno risponde a offese gratuite di imputati o di colleghi o della stessa figlia anche quando sarebbe proprio il caso di ribattere a quelle ingiurie indegne.
“Perez”, fra realtà e fantasia, cioè fra la similitudine della vita di un avvocato d’ufficio e una corruzione ipotetica, ma pur sempre possibile, racconta la verità, una verità scomoda per chi la vive perché se tutto va bene si soffre di stanchezza cronica ed emicranie in difesa dei poveri e dei deboli, ma se va male si rischia addirittura la propria esistenza. Un alto e nobile ruolo ricoperto nel sistema democratico e costituzionale della Repubblica, quello del difensore d’ufficio appunto, deve tuttavia fare i conti con la stessa società che lo circonda fatta di disprezzo ed egoismi, associazioni malavitose e malvagità.