È stata presentata ieri sera al primo incontro del Circolo dei Piccoli Lettori quella che, con un azzardo giornalistico vogliamo definire la Divina Commedia di Paolo Di Paolo. Di seguito l’intervista all’autore
[ads1] Il Circolo dei Piccoli Lettori è una valida iniziativa che intende coltivare la passione della lettura tra i più piccoli. Ospite di questo primo incontro del ciclo è stato Paolo Di Paolo, che ha presentato un suo adattamento de La Divina Commedia illustrato da Matteo Berton.
«Io ho raccontato una storia che è già stata raccontata tanti secoli fa.
La Divina Commedia è un grandissimo libro in cui l’autore racconta un viaggio misterioso: lui si smarrisce a 35 anni in una grande foresta, la selva oscura, dove tre animali gli impediscono di tornare indietro. Qui comincia il suo viaggio favoloso.»
Così Paolo Di Paolo ai bambini presenti.
L’incontro era strutturato in fasi: dapprima i ragazzini si sono approcciati all’opera in maniera spigliata e divertente, intervistando l’autore con domande di vario genere, poi c’è stata la lettura di uno stralcio del testo proposto, accompagnata da un gioco semplice ed efficace di ombre cinesi; infine, si sono divertiti in un laboratorio manuale costruendo una bussola, segno del viaggio.
Confrontandosi con i bambini, l’autore ha dimostrato freschezza e una tale capacità comunicativa da rendere comprensibili ai più piccoli e a me concetti piuttosto complessi: ascoltarlo, guardarlo interagire coi piccini, è stato illuminante e ha abbattuto ogni perplessità su una Divina Commedia semplificata ad uso e gusto dei più piccoli.
La piccola Cecilia ha domandato a Paolo Di Paolo in quale dei tre mondi ultraterreni fosse finito Dante.
Un’altra: “E tu, dove pensi di andare?”
La Divina Commedia di Paolo Di Paolo segue una logica quasi cinematografica: l’autore ha scelto alcune scene, accorpando ad esse un riassunto di quelle che non avrebbe raccontato, eliminando così la divisione in Canti. Alcuni versi dell’opera sono stati riproposti integralmente.
«Questo tipo di adattamento va incontro anche alla necessità di provare a presentare in un modo non solenne, non istituzionale e dunque non pedante, le opere capitali della letteratura.
Non è un surrogato
Essi sono un ponte piccolo ma necessario per avvicinarsi un giorno, quando loro avranno i mezzi e gli strumenti per una lettura integrale: perché fosse evidente che questo non è un surrogato ma un traghetto verso l’opera, ho voluto fossero inseriti, qua e là, dei versi direttamente dal Poema.
Nessun adattamento dura per sempre
Questi adattamenti, che sono stati decisivi per me, quando ero un bambino, hanno un problema: invecchiano facilmente – sono consapevole che quest’opera tra trenta, quarant’anni sarà vetusta – contrariamente alle grandissime Opere, perché tradurle in un italiano contemporaneo significa risentire della contemporaneità della lingua.
Avere il coraggio di svecchiare, togliere un po’ di polvere, di buttarsi per proporlo a bambini e ragazzi, è un azzardo che vale la pena compiere, senza aver paura delle Opere Grandi.»
Abbiamo innanzitutto chiesto a Paolo Di Paolo quale sia stata la domanda più difficile che gli han posto i bimbi:
«Le domande dei bambini sono sempre impegnative perché sono sempre le domande fondamentali. Poi, loro hanno la capacità di prendere sul serio la fantasia, allora la domanda più difficile è quella in cui ti chiedono se è vero quello che gli è raccontato lì non sai che dire perché Dante ha immaginato tutto questo e lo rende talmente visivo, talmente potente, da avere un impatto fortissimo sulla loro immaginazione.»
In effetti, proprio sulla potenza figurativa della parola nella Commedia verte la nostra seconda curiosità, infatti la Divina Commedia di Paolo Di Paolo è imperlata dalle raffigurazioni di Matteo Berton, che ha scelto un segno grafico astratto, geometrico, privo di particolari. In più gioca sulle proporzioni: spesso Dante e Virgilio sono minuscoli rispetto al contesto perché tutto è straordinario, sproporzionato ad ogni umano quotidiano e immaginabile.
Gli abbiamo chiesto qual è stata la collaborazione e la comunicazione con Matteo Berton.
«Il bello che mi ha sorpreso è stato che ho scritto una prima parte del lavoro senza sapere chi sarebbe stato l’illustratore. Parte di ciò che avevo scritto è stato sottoposto a Matteo Berton: vedendo i primi bozzetti sono rimasto entusiasta.
In una seconda fase, poi, c’è stato un dialogo per selezionare le scene da illustrare.
Sono rimasto veramente sorpreso da come lui ha astratto il segno geometrizzandolo: questa sua scelta antimimetica, antirealistica mi sembra vincente.»
L’intelaiatura della Divina Commedia è un apparato culturale che più che medioevale definirei cattolico ed è anche impolpata da spiritualità e dogmatismo. Un po’ perché mi sembra naturale questa domanda, un po’ per conoscere meglio questa bella persona che è Di Paolo, gli chiedo – con molto tatto – quanto abbia influito la sua spiritualità nella comprensione dell’opera.
«Effettivamente la difficoltà di comprensione della Divina Commedia è nel calarsi nella visione cristiana di un uomo del 1300, quindi tutto l’armamentario dottrinario e teologico, difficile da decriptare senza un apparato esplicativo di note.
Tradurlo per i bambini è stato un vero salto mortale, particolarmente il Paradiso, che è ricco di questioni dottrinali altissime.
Secondo me la spiritualità prescinde da una fede: l’avventura di questo libro è l’avventura di un uomo che si fa una domanda fondamentale, cioè “cosa ci sarà oltre la mia vita?”
Non importa che quale sia la risposta, è straordinariamente interessante che un uomo si proietti oltre sé stesso e questo vale, forse, non solo per ogni fede ma per ogni autentica umanità.
Direi che pensare che oltre questa esistenza terrena ci sia qualcos’altro non è soltanto un conforto, direi che è qualcosa di quasi biologicamente necessario.
Non dico che Dante risponda a tutte queste domande ma che almeno prova a porle e, secondo me, le domande sono sempre più importanti delle risposte.»
Con i bambini si è parlato di Ulisse e il riferimento all’avventura dell’umano contenuta nell’ultima risposta mi spinge a domandargli come ha vissuto questo suo viaggio.
«Ho sempre ammirato Dante e questa mia ammirazione è andata crescendo col tempo e con gli studi.
Per me vale l’ammirazione – di più: lo sgomento – per questo tipo di approdo dal punto di vista stilistico: la grandezza della Divina Commedia è la capacità di tradurre in parole, in versi, intraducibile.Ineffabilità
Quando Dante dice alla parola mancò possa, cioè mancò potere sta portando all’estremo la dicibilità del mondo: è un mondo oltre il mondo ma è comunque nel mondo, nel senso che lui stesso immagina quello che racconta: è come se le nostre parole non fossero all’altezza della nostra immaginazione e questa è una facoltà dell’uomo che io trovo sempre più straordinaria, cioè io sono qua in un tempo, in un luogo ma posso immaginare quello che non è in questo tempo, in questo luogo: questo ci separa dagli altri esseri viventi; la nostra capacità di immaginazione.
Per quanto ne sappiamo, un gatto ha una sensibilità ma non ha un’immaginazione.
Allora questo non avere parole sufficienti lo trovo ogni volta incredibile».
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