Nel laboratorio delle esposizioni Spazio Zero11 la mostra sull’artista eclettico Antonio Serrapica, “Nessun dorma — opere del contro-senso” fino al 30 aprile
[ads1]
«Ma il mio mistero è chiuso in me, il mio nome nessun saprà!», così recita uno dei motivi più noti della Turandot di Puccini, Nessun dorma, a cui si ispira il nome dell’esposizione che si tiene in questi giorni presso Spazio Zero11. «Nessun dorma! Nessun dorma!» sembrano esclamare le opere di Antonio Serrapica, autore di Castellammare di Stabia, poco noto in Campania ma da tempo legato alla celebre galleria Franco Toselli di Milano, dove ogni anno viene allestita una sua personale. “Nessun dorma — opere del contro-senso“, a cura di Franco Cipriano, vuole sottolineare il momento di massima creatività di Serrapica, la notte insonne, ed anche, a mio avviso, l’impossibilità di rimanere dormienti dinnanzi alle molteplici forme creative dei suoi dipinti. La mostra è strutturata in gran parte come una quadreria rinascimentale, dove le opere si susseguono senza soluzione di continuità, un saggio dell’estrema varietà stilistica di Serrapica.
Contro ogni regola di equilibrio espositivo, l’immensa quadreria richiama più volte l’attenzione del visitatore, inevitabile richiamo all’osservazione attenta di ogni dipinto. Un’osservazione che non può e non deve fermarsi al primo sguardo superficiale. Le opere di Serrapica tengono desta l’attività del pensiero in una continua associazione di idee e “contro-sensi”, ovvero di creazione di sensi nuovi tramite l’accostamento a volte improbabile di elementi del tutto opposti. Ed è così che l’avvertimento “Cave canem” diventa un serio pericolo di morte associato al “cane” del fucile, in cui parola ed immagine coincidono e divergono, a creare uno spostamento linguistico-segnico. Sul filo di queste ambiguità di muove l’intera produzione di Antonio Serrapica, in cui l’unica costante stilistica è l’assenza di uniformità formale, con continui viaggi temporali all’interno della storia dell’arte.
«L’opera di Serrapica sabota l’arte come sistema storico delle immagini. Nel suo luddismo si travolgono il decorativo common sense post-moderno e la “tradizione del nuovo”. Nello slegarsi delle coerenze evolutive del “divenire delle arti”, fare pittura per Serrapica è un combattimento con se stesso, tra la volontà di forma e l’irrompere delle pulsioni psico-critiche che fanno delle sue visioni un personale test dell’immaginario nell’epoca della “crisi del simbolico”», così scrive Franco Cipriano nel catalogo Quaderni Arte dedicato alla mostra. Così le sue molteplici metamorfosi stilistiche portano a tenere insieme una reinterpretazione del Ritratto del Duca di Montefeltro di Piero della Francesca con i Concetti spaziali di Lucio Fontana. Serrapica muove le sue opere su una scacchiera di possibilità, passando dall’acuta ironia alla dissacrante demolizione dei miti di ieri e di oggi.
Se è difficile classificare in una rigida categoria l’attività di Antonio Serrapica, è certo che il suo tratto distintivo è l’estrema varietà e vastità di produzione. Ad uno stile in continua mutazione si accompagna una grande diversità di tecniche, che va da quelle più classicamente legate alla pittura all’uso di materiali extrapittorici. La “giocosità” con la quale Serrapica si approccia continuamente alle più disparate forme artistiche mette in crisi qualsiasi tentativo rigoroso di teorizzazione sull’arte. Stefano Taccone nel suo intervento in Quaderni Arte sottolinea come «A cotanto impegno Serrapica oppone appunto non il mero disimpegno, ma una diversa, più sottile forma di impegno, in grado di attingere a verità della psiche e della società in una misura non meno penetrante delle “scienze in doppiopetto” ed anzi capace probabilmente di comunicarle in maniera più immediata e diffusa».
Spunti autobiografici e non, fatti di cronaca, elementi del folklore e spiritualità sono alcuni dei campi dai quali l’autore attinge nel suo processo spontaneo di creazione, con una leggerezza apparente che cela una profondità dagli accenti poetici e filosofici. Ripensando alla famosa strofa della Turandot, il “mistero” di Serrapica è chiuso nel suo intimo modo di interpretare il mondo, e che riversa su infiniti fogli sui quali alterna scrittura e segno, nelle innumerevoli tele che conserva nella sua casa-atelier. «Entrando nello studio di Antonio Serrapica, difatti, una vertigine sottrae lo spettatore alla temporalità presente per lasciarlo in un caos — che è chàos — che lo assale e dirotta in un fluire convulso di immagini, assemblage materici, pensieri, forme e citazioni che si affastellano su mobili, pareti e oggetti fondendosi con le reliquie del vissuto e del quotidiano; […]», scrive Raffaella Barbato in catalogo.
Vero e proprio chàos generatore, la mostra di Spazio Zero11 tenta di proporre una visione globale seppur (per cause di forza maggiore) incompleta della produzione ipertrofica di Antonio Serrapica, anche se una video-intervista che correda l’esposizione può restituire un’immagine di insieme di questo autore, forse uno dei pochi artisti che affida alla propria sensibilità la potenza creativa delle sue opere.
In previsione di un finissage “performativo”, la mostra si chiuderà il 30 aprile prossimo. Per ulteriori informazioni consultare la pagina Facebook di Spazio Zero11.
Fotografie della mostra a cura di Fabiola Vitale.
[ads2]