Un anno fa stavo cercando qualche realtà lavorativa stimolante. Trovo l’annuncio della redazione “ZerOttoNove”, attenta al territorio in cui mancavo da diversi anni
[ads2]Spinta dal bisogno di riscoprire, comprendere meglio, la mia terra, ho voluto provare a fare il colloquio. Da Licusati, frazione di Camerota, parto per Baronissi. Un paio di ore di macchina, strade che mettono a disagio, perché non vedono uno sviluppo adeguato da anni. Arrivo in questa realtà giovane e frizzante, conosco il direttore e il presidente insieme ad altri importanti collaboratori. Con me altre due nuove ragazze, e agitate, aspettavamo il nostro colloquio. L’approccio è però subito sereno… da una conoscenza bizzarra e confidenziale si passa poi ai discorsi seri. La redazione ci viene presentata come un progetto che nasce con l’obiettivo di ancorare la gioventù e le grandi menti al territorio di appartenenza, portando questa piccola squadra di “ZONers” verso una redazione di grande impatto nazionale. Io provo piacere, ricordo ancora le parole del presidente Michele Marino, quando dice con il sorriso: “Noi siamo stanchi di vedere i giovani partire, vogliamo che restino qui, vogliamo che questo progetto possa diventare uno stimolo a restare per molti”, poi il direttore Danilo Iammancino, quando afferma, con tono professionale: “Basta con il copia e incolla, noi vogliamo delle menti, delle idee, informazione”. Entusiasta torno a casa. Ero in macchina con i miei genitori, che mi avevano accompagnato in un posto così difficile da raggiungere per me. Durante il viaggio di ritorno già m’immaginavo attiva in quella redazione, già avevo voglia di tornare. Mi avevano assegnato il Comune di Camerota, invitandomi a seguirlo e divulgare le notizie relative a un territorio così importante, ma troppo trascurato. Ero contenta, molto.
La lunga distanza però da Camerota e Baronissi, mi blocca subito. Avrei voluto davvero frequentare la redazione, fisicamente, ma non ne avevo le possibilità. Così, la prendo con filosofia, diciamo! Comincio a creare dei contatti con la redazione, virtualmente, e tramite Facebook, entro a far parte di una famiglia già consolidata, imparando a conoscere direttore, presidente, caporedattori e revisori di turno… Tutto questo accade attraverso i social network e io comincio a immaginare queste persone, a provare stima e condividere con loro i miei articoli. Timidamente mi impossesso del territorio in cui mi muovo, cerco di farlo mio, di valorizzarlo, raccontarlo. La gente, le associazioni, gli artisti si accorgono di me, ma io sento sempre il bisogno di dire: “Faccio parte di ZerOttoNove, una redazione in cui credo vivamente, in cui mi sento libera”. Dentro di me, giorno dopo giorno, cresce il legame affettivo, un senso d’identificazione nei confronti di questa realtà tanto lontana, quanto vicina. “Come è possibile?”, mi chiedo.
Ogni mio articolo, quindi ogni mia esperienza, è revisionata e corretta. Ogni pubblicazione è condivisa con il revisionista di turno. Quante volte ho chiesto assurde forme di assistenza al caporedattore Gerardo Mele, quante volte ho chiesto consigli e favori ai revisori, che pazientemente, erano sempre lì, pronti ad aiutarmi. I rapporti virtuali non hanno lo stesso valore di quelli fisici, eppure sono entrata stranamente in questa famiglia meravigliosa, quella di ZerOttoNove. Su ogni personaggio della redazione con cui mi sono confrontata ho cominciato a fantasticare, a creare un’immagine in grado di fissarlo nella mia memoria. Gentilezza, professionalità, accoglienza… recepivo tutto questo, a ogni mia richiesta. Mi ci sono legata, e non so come. Mi sono legata a ZerOttoNove tanto da imprecare contro chi si rivolge a me senza ricordare che faccio parte di una redazione, ribadendo quelli che sono i nostri valori: valori che ho compreso anche solo dietro un pc, immaginate quale forza possono avere nella realtà.
Decido d’incontrarli dal vivo, dopo un anno. Decido di andare al classico appuntamento fisso del lunedì, quando ci si riunisce per la riunione, approfittando dell’invito a mangiare anche la pizza insieme, dopo il confronto lavorativo. Mi sembrava una gran bella occasione per entrare a far parte, anche solo per una serata, di questa bella famiglia. Comincia il mio lungo viaggio, tra treni e autobus, ci impiego più di due ore. Finalmente metto i piedi all’Università di Salerno, dove da diversi mesi si è trasferita la redazione, e li trovo lì, davanti ai loro computer, a lavoro. M’inserisco piano piano nei loro impegni, provo a farne parte. Magicamente tutti cominciano a parlare, ad animarsi davanti ai miei occhi, delle icone diventano persone viventi, straordinarie, divertenti e appassionate. Avevo tutte immagini distorte di loro, avevo creato dei personaggi più o meno reali, quasi veri. Sono incantata, davvero. Penso quanto mi sia mancato tutto questo, quanto avrei voluto sentire quelle voci nelle mie orecchie, vedere i loro gesti con i miei occhi, ascoltare le loro ragioni, imparare dai loro consigli, venire a conoscenza di tutti i nuovi progetti. Indubbiamente con alcuni di loro il rapporto era già un po’ diverso, avevo già percepito di più, avevo sentito qualcosa dietro la tastiera. Il cuore infatti batte quando si incontrano queste persone dal vivo e non si smentiscono, sono quelle che credevi di aver già incontrato, in qualche modo… Altre persone invece sono una sorpresa, più o meno vicine alla mia idea. Che atmosfera magica, surreale.
Avete mai visto “Big Fish” di Tim Burton? C’è una bellissima scena girata su un fiume, simbolo di passaggio da uno stato a un altro. Il protagonista Edward Bloom aveva trascorso l’intera vita a raccontare storie inventate al suo unico figlio, il quale, stufo e disincantato, non riusciva più a credergli. È il giorno in cui sta per morire, e chiede al figlio di raccontargli la morte come avrebbe voluto. Il figlio immagina il padre sul fiume, dove tutti i personaggi più o meno reali della sua vita, stavano lì ad aspettarlo, per dargli un ultimo saluto. La morte del padre avviene in maniera standard e noiosa, senza nessuna eccezione. Questa è la realtà. Eppure il figlio conclude, parlando del padre: “… A furia di raccontare le sue storie, un uomo diventa quelle storie… esse continuano a vivere dopo di noi, e in questo modo egli diventa immortale”. I personaggi della vita di Edward Bloom erano tutti esistiti, li aveva incontrati davvero. La differenza tra il padre e il figlio è che il primo voleva ricamare la sua vita con il filo della fantasia e dell’immaginazione, perché dentro l’immaginazione c’è solo una verità più bella, più personale, più libera.
Lunedì ho provato emozioni del genere. Avevo sentito qualcosa di questa famiglia anche a distanza, avevo elaborato tutto con la mia personale fantasia, o proiettato me stessa in loro. Ero confusa, perché cercavo di non entrare in conflitto con la mia idea di ciascuno di loro. Un po’ ho continuato a vederli in quel modo, a elevarli. In fondo però quelle storie, quelle che io avevo costruito e inventato, non erano così lontane dalla realtà. Si animavano quelle storie, quei personaggi, del mio film.
Il cuore di ZerOttoNove palpitava, e il mio palpitava all’unisono.