SALERNO – L’arte diventa l’invitato d’onore di una tavola imbandita a festa. Le tele di Bartolomeo Gatto tramutano la loro natura di pezzi di arredamento in soggetti attivi del quotidiano vivere.
L’artista salernitano – nella mostra “L’Invitato di Pietra & l’Arte della Tavola”, che verrà presentata venerdì 23 novembre alle ore 18 (e visitabile fino all’8 dicembre) a “Il Cigno” di Salerno (Corso Garibaldi n.241) – immagina le sue opere perfettamente calate nella vita di tutti i giorni. E non può esserci declinazione migliore di quella che si sviluppa con il rito della tavola, momento aggregativo e attrattivo nelle giornate di tutti. I quadri, che rimangono fedeli al suo originario vocabolario fatto di colori pregnanti e di mastodontiche figure che si inanellano in vorticosi abbracci, sono stati pensati e creati proprio per queste tavole allestite una diversa dall’altra.
Il viaggio, in questo mondo di colori, parte dalla Tavola delle Illusioni, dove sui piatti da portata sono adagiate tante piccole lettere d’acciaio con le quali l’ospite può comporre a piacimento le frasi che preferisce. Lettere sparse anche sui sottopiatti e sull’oliera per rappresentare questa libertà a volte taciuta e intrappolata in prudenti gabbie. Il quadro collegato a questa tavola rappresenta, allo stesso modo, quella natura che è stata trasformata in sinonimo di parole perdendo la sua funzione di forza generatrice e vitale.
Il bordeaux e il grigio, tanto cari all’artista salernitano, si riflettono anche nell’allestimento della seconda tavola, sempre curata e ideata da Adele De Santis. Qui i piatti di Richard Ginori sono in perfetta sintonia con i bicchieri rossi, i vasi grigi in vetro soffiato e i fiori che richiamano le sfumature della tela.
La terza istallazione è riservata al rito del caffè, con pezzi dell’Ottocento di Ginori con bassorilievi istoriati e l’argenteria di Giovanni Raspini, mentre la quarta tavola è una vera e propria esaltazione della natura.
I colori della creazione di Gatto si addolciscono e si trasformano in un giallo ocra con segmenti di bianco, rosso vivo e violetta. L’opera accompagna la tavola dedicata al mondo animale. Un’esplosione di fantasia su una tovaglia verde dove sono adagiati tanti animali domestici e selvaggi come il leone, il gufo e l’elegante. La natura, in questo caso, si riappropria della sua funzione e torna protagonista del ciclo vitale che dovrebbe svolgere.
Il verde è il filo conduttore anche della tavola con al centro un lungo vaso stilizzato avvolto da foglie di agave intrecciate. Qui, al posto di una tela, abbiamo una serie di cubi dove i colori magnetici di Gatto si susseguono in un gioco tridimensionale e materico. Le sue famose “Pietre amanti”, dunque, diventano cubi, perché ognuno di noi è imprigionato dentro un’etichetta, una forma, che ci rende rigidi e incapaci di essere naturali. Ecco, dunque, che la stessa pianta di agave non vive liberamente seguendo il suo flusso naturale, ma è costretta ad abbracciare un vaso imbrigliata in filamenti di acciaio.
In questa altalena di contraddizioni fatta di voglia di rompere le catene e di paura di riappropriarsi della propria identità, ci si avventura verso la tavola delle donne-angelo.
Su questa tavola circolare, incastonate tra semplici e delicati candelabri, fanno capolino queste statuine in porcellana che riportano alla leggerezza e alla leggiadria del vivere. Con loro, anche i quadri dell’artista salernitano ritrovano l’armonioso dialogo tra uomo e natura. Ritorna, qui, il rosso sfumato in varie gradazioni, il blu che viene squarciato da raggi di bianco e di avorio e il giallo che abbraccia le gradazioni di oro metallico, giallo ambra e mandarino.
Le ultime due tavole e, dunque, gli ultimi due quadri tornano al rosso, declinato in tutte le sue varianti. Quasi un ritorno all’origine, per chiudere il cerchio dell’esistenza e dare un senso di coerenza al dialogo artistico che Bartolomeo Gatto ha tenuto, mediante le sue opere, con lo spettatore.
La tela sovrasta la tavola. Al posto degli abbracci di pietra, per l’occasione, Gatto immagina un mondo fatto di maschere che si guardano, mute e dall’espressione enigmatica.
Non si capisce se sorridano in un ghigno difficile da interpretare o se siano semplicemente indifferenti al linguaggio e alla parola. La tavola interpreta questo senso di mistero e lo fa proprio con un allestimento dagli evidenti contrasti del bianco, puro e candido dei piatti e dei vasi, con il rosso acceso delle candele e il bordeaux vivo e caldo dei fiori e delle cipolle. Tante, grandi e lucide, cipolle rosse che diventano il simbolo della maschera dell’uomo, sinonimo di quella che è la sua vita, che man mano che invecchia, puzza e si trasforma in materia inutile, di scarto.
Il gran finale, invece, è rappresentato dall’unico olio su tela presente in mostra dal titolo “La mia isola”. Qui c’è quasi il ritorno all’equilibrio con una istallazione che riporta un senso di pace e di comprensione. I rossi della tela dialogano con una tavola dai colori tenui e dalle mille sfumature che rievocano il celeste del cielo e i marroni della terra. Una tavola, questa, più concreta e senza orpelli, dove, oltre ad un rosso vaso stilizzato, protagonisti indiscussi sono i piatti della collezione Hybrid di Seletti. Questa linea di vasellame si ispira alla tradizione storica della lavorazione della ceramica, dividendosi letteralmente tra Est e Ovest del mondo. Ogni creazione della serie, infatti, esalta la contrapposizione, presentando una netta separazione grafica in due parti, che corrisponde simbolicamente a due stili e due culture, rendendoli in realtà un unicum. Bartolomeo Gatto, con questa opera, immagina questa isola dove i contrasti di mitigano e dialogano in uno scambio, costruttivo, di idee, tradizioni e diversi linguaggi.