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Mobilità e frontiere: contraddizioni della sovra-modernità

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Mobilità e frontiere: contraddizioni della sovra-modernità

Il mondo contemporaneo si è caratterizzato, tra le altre cose, per la capacità di raggruppare una “diversità planetaria omologata”. Le caratteristiche proprie di questa diversità: cultura, razza, religione e pensiero sembrano tutte essere contenute sulla stessa tavola imbandita, insieme all’utopia di poter vivere in piena armonia l’unificazione di questa tavola, e quindi l’unificazione del mondo intero. Uomini e società omologati per farlo ma incapaci di realizzarlo.

Esiste una serie di cause e caratteristiche che accompagnano il gran paradosso del mondo contemporaneo, un mondo unificato e allo stesso tempo frammentario, uniformizzato e diverso.

Da un lato la Globalizzazione e lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di trasporto crea l’impressione che l’intero pianeta sia diventato il punto di riferimento di ogni singolo individuo; tuttavia non terminano di esistere differenze tra identità sociali e individuali, forme di vita e classi, territori sviluppati e in povertà.

Arjun Appadurai descrive un’interessante visione della situazione contemporanea. Secondo l’antropologo indiano il problema fondamentale delle grandi teorie sociologiche è stato quello di rafforzare da sempre l’esistenza di un momento preciso e comune a tutti: il momento moderno; momento che quando si è presentato realmente, ha generato una rottura tra passato e presente.

Il sociologo tedesco Max Weber lo definisce come il “disincanto del mondo”: una modernità caratterizzata dalla scomparsa dei miti di origine e dei sistemi di credenze che cercano il senso del presente nel passato. Così l’uomo moderno è padrone di se stesso, e la razionalità focalizzata alla produzione è l’unica verità: siamo strumenti degli stessi strumenti. L’antropologo francese Marc Augè parla invece di sovra-modernità, come il risultato di una logica dell’eccesso che governa tutto quel processo culturale e di sviluppo sociale degli ultimi decenni.

Il concetto di mobilità contemporanea è parte integrante e necessaria di questo scenario di non facile definizione.

Quando si relaziona con gli individui, la parola si definisce vincolandola a quei gruppi di persone senza territorio fisso, i nomadi. Ma oggi questo vincolo non basta per descrivere questa caratteristica della nostra società e del nostro tempo. La mobilità contemporanea sovra-moderna, (quindi come risultato degli eccessi dell’informazione, della velocità e dell’individualismo), si riferisce infatti tanto alle persone come all’informazione, e il paradosso che questa mobilità suggerisce si riduce alla sensazione di poter fare tutto senza quasi muoversi. Questo riflette l’ideologia del sistema globalizzato, basato nell’apparenza, nell’evidenza e nel presente.

Tuttavia, se si pensa alla tendenza attuale di muoversi senza un territorio fisso, manteniamo una sorta d’imitazione dell’abito culturale nomade. La differenza fondamentale però, si evince dall’abitudine diffusa di muoversi senza avere ben chiaro in mente il motivo, senza sapere perché o cosa porta alla mobilità continua, senza sapere con certezza se farlo è un fatto cosciente e consapevole o meno. Quasi un “obbligo di mobilità” semplicemente per stare al passo col mondo, perché insoddisfatti dall’alienazione provocata dal bombardamento mediatico quotidiano.

Se questo è il primo grande paradosso che accompagna il concetto di mobilità nell’epoca attuale, il secondo si riferisce alla possibilità di muoversi senza nessuna frontiera; possibilità che per quanto reale possa essere non si allontana dall’utopia di eliminare ogni distanza e differenza. Questo termine quindi, è un’altra delle grandi nozioni che si è evoluta insieme a quella di mobilità.

Lévi-Strauss ci insegna che il concetto di frontiera si utilizza dall’apparizione del linguaggio per dare un senso simbolico al mondo, per poter vivere in esso e riuscire a capirlo. Tuttavia il simbolismo grazie al quale si è potuto capire il mondo, ha creato, per sua propria natura, una serie di opposizioni, dicotomie essenziali e basiche, categorie come il maschile e il femminile, il freddo e il caldo, il bene e il male. Si sono stabilite quindi, come conseguenza naturale, altre “frontiere naturali”, che successivamente si sono convertite in frontiere fisiche, come linee di terra e cause di guerre e morti.

Oggi questo sistema di classificazione non è necessario, perché si può capire il mondo senza dividere lo spazio. Il pensiero scientifico, così come quello politico, non si basa su opposizioni binarie e in dicotomie. Esiste un’apparente uguaglianza di sesso, un mercato e una rete mondiale di comunicazione. Tuttavia quello che la globalizzazione nasconde sotto la sua apparente omologazione è una rete di disuguaglianze.

L’opposizione nord-sud, ad esempio, rappresenta l’antica differenza tra colonizzatori e colonizzati, così come l’organizzazione urbana dei quartieri rappresenta una divisione tra ricchi e poveri. L’idea di un mondo nel quale le persone, i beni e l’informazione rappresenterebbero una globalità mobile senza frontiere si allontana dalla realtà del nostro mondo.

L’essere mobili, quindi, contrasta con la stessa struttura sociale, dove lo spostamento provoca contrasti e differenze tra gli individui, e dove le caratteristiche della sovra-modernità hanno trasformato le forme di vita dell’essere sociale.

a cura di Alfonso D’Urso