Un nuovo successo per l’Associazione Tuttinsieme nella III edizione della Festa del Mare, ieri sera sul porto di Marina di Camerota. Turisti e non hanno partecipato con interesse e si sono divertiti nella riscoperta dei mestieri di una volta
In un momento come questo, che registra la crisi del settore turistico in Italia, ma soprattutto nei piccoli centri del Cilento, occorre reinventare un modo per attirare la gente. La prima operazione consiste nel ritorno alle origini, per comprenderli e poi valorizzarli, fare di questi elementi un motivo di riscatto economico e culturale. Portare elementi nuovi nel Comune di Camerota sarebbe una soluzione complicata, anche se interessante, che potrebbe aprire a forme di turismo nuove, ma per arrivare a parlare di nuovo occorre prima assorbire bene le origini del territorio, imparare a gestirle nel modo migliore, trasformare i saperi e le tradizioni in una sorta di catalogo di opere esposte in un museo, da tutelare e divulgare.
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L’Associazione Tuttinsieme, attiva nel territorio in diverse forme di intrattenimento e cultura, prende passato & mare e ne fa uno spettacolo vero e proprio, una bella ricostruzione di come si è arrivati alla Marina di Camerota di oggi. È nella capacità di alleggerire le origini storiche, economiche e sociali di un luogo, attraverso la dimensione spettacolare, che si possono coniugare turismo e storia.
La Festa comincia alle 19.00. Si aprono gli stand, dove sono esposti prodotti locali e artigianali. Man mano la serata si riscalda. Sul piccolo palco allestito si racconta e ricostruisce la storia di Marina di Camerota, ed è suggestivo e verosimile, perché ci sono in scena le vecchiette che lavorano l’erba spartea (o anche libana) e altre che lavorano le alici. In fondo alla scena l’associazione “La scala di Seta” nel Trio D’Alessandro, formato dal padre Oreste (voce), dalla figlia Beatrice (voce) e dal figlio Manfredo (oboe, sax). La rappresentazione storica del passato si alterna tra racconto e musica, dove per musica intendiamo interpretazione dei brani della tradizione cilentana e ballo. I ballerini, Mauro Lamanna e Barbara Diotaiuti, dai movimenti tanto classici quanto circensi, si esprimono in corpi fluidi. Le voci, maschile e femminile, sono un perfetto contrappunto: nella loro diversità s’incontrano per un effetto finale emozionante e bello. Manfredo D’Alessandro è un musicista sempre attento, che fa percepire le sfumature del suo strumento, in particolare nel brano “Cammarutana”, che per l’occasione è stato riadattato in dialetto marinaro, dove il suo oboe diventa quasi il sentimento che attraversa la canzone, interpretata dalle due bellissime voci di Oreste e Beatrice.
Uno dei momenti più toccanti è il riportare alla memoria la tragedia del 2 giugno 1867, giorno in cui perdono la vita 12 donne e 2 uomini in mare, quando la barca affonda poco dopo la partenza, precisamente presso quella che oggi è chiamata “Cala dei morti“. Questo triste evento è raccontato da un altro brano, proprio quello dedicato a queste vittime, scritto da Peppino Liuccio e musicato da Nicola Napolitano. Definita la tragedia delle “strambaie”, perché le donne avevano caricato la barca forse troppo di corde da utilizzare per l’allevamento delle cozze, ogni 1 giugno si commemora quanto accaduto. La parentesi dedicata al “Leon di Caprera” è ancora un altro momento importante per ricostruire il passato, questa volta però fa parlare di emigrazione, fattore storico che ha caratterizzato Marina di Camerota nella fine dell’Ottocento. Pietro Troccoli, di Marina di Camerota, è stato a bordo della barca Leon di Caprera, sulla rotta Montevideo-Caprera per raggiungere Giuseppe Garibaldi.
Si passa dalla grande storia alla piccola storia, quella che racchiude momenti di vita quotidiana, che rievoca, con lo scopo di ricordare e custodire, l’economia locale. Donne e uomini erano davvero uniti, ieri più di oggi, perché l’uno compensava l’altro a livello affettivo ed economico. L’economia di prima, intesa come sopravvivenza, sostentamento della famiglia. La donna infatti sapeva lavorare le libane, che erano trasformate in corde molto resistenti e servivano per la pesca, gli uomini si formavano come pescatori. In questa unione fatta di rispetto e di reciproco lavoro, si fondava la famiglia di ‘una volta’, e di conseguenza una società.
L’arrivo della lampara a riva, lo sbarco dei marinai con le cassette di pesce azzurro, quello povero e saporito, che è alla base della cucina cilentana, attraversa il porto e trasforma la platea in un’ipotetica piazza di un tempo lontano, quando i pescatori portavano il pesce in giro per il paese, tradizione che più o meno è rimasta. Tutti i partecipanti si spostano a riva, dove donne in costume d’epoca e reali pescatori recitano una situazione tipo del passato. Il pesce viene pulito e cucinato davanti alla lunga fila che vuole assaporare uno stile di vita, oltre che sapori diversi e autentici.
La festa si conclude con un gruppo di musica popolare cilentana, i Kiepo’ in concerto con “Tarantelle Paglia e Fieno”; in questa fase più rilassata le anziane signore danzano su quei ritmi a loro tanto familiari, ed è davvero interessante osservare queste donne in movimenti arcaici e conviviali, quando si ballava per integrarsi alla comunità, quando si ballava senza il bisogno di apparire, ma per diletto o per stare in compagnia: una ricostruzione storica e antropologica anche questa, non preparata, ma che nella sua spontaneità rivela una parte di una società che non deve essere dimenticata. Ricordare è appunto il titolo della rappresentazione. Dal ricordo e dalla memoria si può guadare al futuro, nella speranza che il rispetto delle origini possa diventare il trampolino di lancio per una nuova economia del paese e turistica.