Non vogliamo vedere nessun altro Lucio Caruccio incatenato su una panchina davanti ad un tribunale
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Lucio Caruccio, ex autotrasportatore bisarchista, con queste parole chiede giustizia: “Da dieci anni sono senza lavoro e, inutilmente, attendo giustizia! Per aver servito lo Stato, rispettato le leggi e per non aver mai accettato regole e metodi mafiosi nell’ambito del lavoro, ho portato la mia famiglia alla fame. Mi ritengo una vittima dei metodi lavorativi mafiosi, della corruzione e dell’illegalità che regolamentano il mondo del trasporto di autoveicoli”. Ecco l’incipit di uno dei due cartelloni che Lucio Caruccio espone in bella vista da ieri, 22 giugno, davanti al Tribunale di Salerno.
L’uomo, nato e residente a Olevano sul Tusciano, ha lavorato, per circa 25 anni, come autotrasportatore bisarchista, cioè si è occupato del “trasporto di vetture”, per conto dell’Automar S.p.a. di Pontecagnano Faiano(SA) fino al 25 marzo 2005.
Senza nessun preavviso e senza una valida ragione, pur avendo un regolare contratto triennale dal 02/01/2004 al 31/12/2006 e tariffe ministeriali da rispettare, la società ha interrotto unilateralmente ogni rapporto di collaborazione e lavoro con lui.
Nel testo si legge: “Ho dovuto porre in liquidazione la mia piccola impresa, Autotrasporti Caruccio Snc, perché nel nostro Sud le regole che bisogna seguire non sono quelle dettate dallo Stato ma quelle volute da chi gestisce il potere con metodi mafiosi. Se si vuole lavorare e vivere, necessariamente bisogna seguire le loro regole altrimenti, come è successo al sottoscritto, si è costretti a interminabili attese in un corridoio di Tribunale ad attendere invano che sia fatta giustizia. Nei nostri territori regnava e, purtroppo, regna ancora la legge del più forte”.
“I primi responsabili” – secondo quanto sostiene Lucio Caruccio – “sono quei parlamentari che il giorno 01/03/2005 approvarono la legge 32/05, pubblicata il 25/03/2005, che diede la possibilità a tutte le famiglie che non avevano mai rispettato le tariffe contrattuali ministeriali dal 1996 al 2007 e che controllavano il trasporto autovetture in Italia, di poter risolvere unilateralmente tutti i contratti in essere nel periodo 02/01/2004 – 02/01/2007, adottando metodi di chiaro stampo mafioso”.
Tra le tante parole in cui Lucio Caruccio chiede aiuto spiccano queste: “Tutto è ampiamente documentato, provato e denunciato”. Non si è inventato niente, è proprio così. L’uomo ce lo ribadisce più volte.
Il suo appello punta il dito anche contro il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti accusato di essere “un altro responsabile”; la motivazione è questa: “Perché pur essendosi fatto garante del rispetto degli accordi stipulati con il ‘Lodo Bonforti’, non ha mai nominato la prevista Commissione di Controllo né ha mai effettuato alcuna verifica circa il rispetto o meno degli accordi sottoscritti, permettendo alle ‘famiglie’ che controllavano e controllano quasi la totalità del trasporto vetture in Italia, di poter agire indisturbatamente e gestire il lavoro con metodi di chiaro stampo mafioso, infischiandosene delle leggi, dei contratti e degli accordi”.
Incuriositi da questa triste vicenda che vede un uomo anziano costretto ad “autoincatenarsi” davanti al tribunale di Salerno, sotto gli occhi di turisti e bambini, continuiamo a leggere la sua richiesta di aiuto per scoprirne il motivo: “Mi è stato contestato di non aver voluto effettuare viaggi nell’ultimo trimestre lavorativo (gennaio-marzo 2005) quando l’Automar intese risolvere ogni rapporto con la citata lettera del 25/03/2005. Ebbene, in tale periodo furono assegnati alle mie due bisarche 109 viaggi su 108 giornate lavorative (regolarmente riportati nei documenti integrativi di trasporto emessi dalla stessa AUTOMAR S.p.A.)e, per far fronte a tale impegno, fui costretto a lavorare anche la domenica, costringendomi così a violare anche la normativa del ‘codice della strada’! Dal 02/01/2005 al 25/03/2005, le mie due bisarche hanno percorso 33.581 km e l’Automar spa, non avendo alcun motivo valido da contestarmi e per risolvere il contratto di lavoro, si servì del clan Sorace per inventare false dichiarazioni ed accuse calunniose finalizzate a motivare la lettera di licenziamento del 25/03/2005”.
Le dichiarazioni, secondo quanto sostiene l’uomo, hanno indotto il giudice a motivare la propria sentenza di rigetto della domanda, “Nonostante che agli atti del processo fossero stati prodotti documenti fiscali di trasporto relativi ai viaggi effettuati proprio nei primi tre mesi dell’anno 2005 quando su 108 giornate lavorative avevo effettuato 109 viaggi e nonostante che tale documentazione fosse stata anche utilizzata dal CTU nella sua relazione”.
E continua così Lucio Caruccio: “Con la suddetta sentenza di rigetto dell’impugnativa della rescissione unilaterale del contratto – la n. 4274/2014 – il Tribunale di Salerno mi ha anche condannato al pagamento delle spese processuali. Sono state sufficienti le dichiarazioni rese dal Sorace e soci per far sì che alla mia domanda di giustizia mi venisse corrisposta una palese ingiustizia! Ancora oggi, in Corte di Appello civile – procedimenti RG 292/2013, RG 232/2015 – vertenze sempre contro Automar S.p.a. – è avvenuta la sparizione dei fascicoli di primo grado, nonostante che questi fossero stati custoditi in cassaforte per tutta la durata del processo di primo grado”.
La domanda che rivolge dalla strada è questa: “Perché la Procura della Repubblica di Salerno non esamina le mie numerose denunce, i documenti fiscali di trasporto che ho prodotto e che provano quanto false siano le dichiarazioni rese da Sorace e soci e non provvede, per tali palese calunnie perpetrate ai miei danni, a rinviarli a giudizio?”
Le parole ora cambiano. Leggiamo sofferenza, tanta sofferenza, per la perdita della dignità di un uomo che ha sempre lavorato e a cui è stato tolta la serenità in un’età delicata. Età da tutelare.
“Sono anche invalido e non sono più in grado di poter sostenere la mia famiglia. Ho subìto due gravi infortuni alla schiena con la colonna vertebrale fratturata. Sono stato colpito da ictus cerebrale il giorno 03/01/2013 proprio dinanzi alla Cancelleria del Tribunale di Montecorvino Rovella mentre attendevo lo svolgersi di una udienza. L’ipertensione o l’innalzarsi improvviso della pressione del sangue mi causa il blocco del lato destro con il serio rischio anche di morire. Non posso fare alcun tipo di lavoro sotto sforzo e mi è stata riconosciuta dall’INPS una invalidità pari all’60%. Non percepisco alcuna pensione, né indennità: NON HO REDDITO!”
Le ultime parole, stampate a lettere cubitali, ci feriscono e ci fanno rabbrividire. I pensieri si affollano nella testa: troppe vittime per la mancanza di lavoro rinunciano alla vita in silenzio lontane da tutti. Lucio Caruccio no. Egli lascia leggere il suo appello pubblico in cui, senza tanti giri di parole, afferma: “Attualmente non possiedo nemmeno i soldi per fare la spesa giornaliera per la mia famiglia”. E poi chiede: “Come debbo sopravvivere? Ho lavorato una vita intera e ho sempre pagato ogni onere e tassa! Oggi che non lavoro, come posso pagare le cartelle esattoriali scadute?”
“Signor Presidente del Consiglio, on.le Matteo Renzi, mi appello a lei e al suo alto ruolo istituzionale. Vorrei anch’io poter usufruire dei ‘famosi’ 40 euro al giorno per poter sopravvivere con la mia famiglia. Penso che mi spetterebbero di diritto, essendo un cittadino italiano che ha sempre lavorato e pagato le tasse dal lontano 1976 e fino a quando nel mondo del“Trasporto Autovetture” vi erano: regole, leggi, giustizia, democrazia e libertà”.
E ancora un’affermazione dura nella lunga lettera sotto gli occhi di tutti quelli che si trovano a passeggiare per il corso Vittorio Emanuele di Salerno: “In tutti i paesi civili del mondo la falsa testimonianza è reato!”
Dopo essersi rivolto a Renzi e dopo averci rivelato di aver scritto perfino al Papa, rivolge al Presidente della Repubblica italiana, on.le Sergio Mattarella, “che nella sua vita non ha mai accettato compromessi e regole mafiose”, dichiarando: “Per rispettare le leggi dello stato e per non aver voluto sottostare ai metodi di stampo mafioso imposti sul lavoro, mi ritrovo da oltre dieci anni senza lavoro e inutilmente in attesa di avere giustizia”.
Lucio Caruccio chiede giustizia e vuole un processo, chiede il rinvio a giudizio di tutti i componenti del Clan Sorace per aver reso falsa testimonianza e per averlo ridotto alla fame.
Non riuscendo a dare un giudizio sulla vicenda perché non conosciamo le carte processuali e tutta la vicenda, possiamo solo dire che deve essere fatta giustizia. Le nostre città non possono trasformarsi in vetrine dove persone, per far sentire il loro grido disperato, sono costrette ad incatenarsi e ad intraprendere lo sciopero della fame.
Il nostro appello è questo: non vogliamo vedere nessun altro Lucio Caruccio incatenato su una panchina davanti ad un tribunale di una città.
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