Per l’ultimo appuntamento della fortunatissima Lectura Dantis Metelliana 45° edizione, tocca al Prof. Marco Galdi intendere il parlar coverto del sommo poeta
Il compito non è sicuramente di quelli facili. Il tema dell’incontro, infatti, è un insolito “Dante e il diritto” che più di qualche insidia potrebbe nascondere.
La serata, dopo i saluti del Presidente dr. Paolo Gravagnuolo, del Presidente onorario Prof. Fabio Dainotti e del Direttore dr.ssa Lucia Criscuolo, si apre con la consegna del premio di laurea “F. Salsano” a un giovane laureato per la sua accurata tesi sul Nostro.
Il relatore, a questo punto, come ‘l fornito (che) sempre con danno l’attender sofferse, inizia il suo intervento.
Ci mette poco, il prof. Marco Galdi, a monopolizzare l’attenzione dell’aula consiliare del Palazzo di Città di Cava de’ Tirreni.
Fin dalle prime battute l’argomento, ch’avea lacciuoli a gran divizia, sembra spianarsi in una narrazione dal ritmo sostenuto e dal coinvolgimento vivo degli astanti.
Emerge, così, la figura di Dante che, a più riprese, ha avuto a che fare con il diritto. Per quanto attiene alla sua vicenda personale, ad esempio, il prof. Galdi ricorda come nel 1300 Dante rivestì la carica più importante di Firenze, quella di priore della città.
E come non richiamare la circostanza che il maestro del sommo poeta, Brunetto Latini, svolgeva la professione di notaio? E Guido Guinizzelli inventore del “dolce stil novo“? Giudice, faceva il giudice.
Ma vi è di più: molti autorevoli commentatori della Divina Commedia furono giuristi.
Senza contare il fatto che tanti registri relativi ai delitti criminali dell’epoca, fin dai primi decenni successivi alla morte di Dante, venivano chiosati con terzine soprattutto del canto III della Divina Commedia.
Finanche il grande giurista Bartolo, l’ipse dixit del diritto, ricordò a più riprese il De Monarchia e commentò un passo del Convivio.
<Non è un caso, – si accinge a concludere questa introduzione il relatore, sicuro nocchiero tra i marosi infidi della correlazione Dante-diritto – che il più antico ritratto di Dante si trovi nella Sala delle Udienze a Firenze.>
Nell’XI sec., ecco la svolta per il diritto: con l’affacciarsi prepotente delle città sul panorama fin lì prettamente rurale, inizia a formarsi la borghesia la cui nascita, parafrasando Max Weber, segna la comparsa dello Stato Moderno. Ma borghesia vuol dire anche avvento di nuove relazioni economiche che esigono altrettanti nuovi strumenti giuridici atti a disciplinarle
I giuristi, dal canto loro, ch’a ben far puoser li ‘ngegni, elaborarono il diritto comune per rispondere alle esigenze di certezza del diritto.
Con Irnerio (lucerna iuris) e la nascita dell’Università di Bologna (1088) si emancipò finalmente il diritto dalla retorica.
Attraverso l’opera infaticabile di Accursio, poi, si procedette a raccogliere e sistemare ben 97000 glosse. Vi è, quindi, la riscoperta del Corpus Iuris Civilis e il diritto comune diventa sistema.
Ma in questa lunga cavalcata per i secoli condotta con maestria dal Prof. Galdi, non può mancare il riferimento a Federico II di Svevia, Stupor mundi, con le sue Costituzioni di Melfi promulgate nel 1231, pochi decenni prima, quindi, della nascita di Dante.
Le avanzatissime Costituzione di Melfi, se è vero che furono promulgate per il Regno di Sicilia, probabilmente vennero pensate per l’Italia intera fin da subito.
Con i suoi 255 titoli, Federico voleva ristabilire l’autorità imperiale, improntandola all’assolutismo romano e, contemporaneamente, limitando il potere e i privilegi delle locali famiglie nobiliari e dei prelati.
I meriti di Federico, fa notare il suggestivo relatore, furono tanti e svariati. Dall’aver reinventato la burocrazia, all’aver fondato, nel 1224, l‘Università di Napoli.
Ma Dante? Il convitato di pietra che durante questa ricca esposizione ha fatto pressochè da termine di paragone, viene finalmente a rubarsi la scena.
Per il sommo poeta, il diritto è il trionfo del diritto comune. Il Nostro è sostenitore convinto della teoria dei due soli, quello dell’Impero e l’altro del Papato, proprio nell’epoca in cui molti, invece, favoleggiavano di un sole, il Papa, e di una luna, l’Imperatore.
Siamo alle battute finali di questa lectura Dantis metelliana.
Andiam, chè la via lunga ne sospigne.
Il prof. Marco Galdi, dopo aver deliziato e incuriosito il pubblico con i suoi voli sempre diretti all’approdo Dante, finalmente ci svela la definizione che il sommo poeta dà del diritto.
Il diritto, come Dante scrive nel De Monarchia, è proporzione tra cose e persone. Ed è a tal punto moderna siffatta concezione, che il c.d. principio di ragionevolezza, architrave di tutte le pronunce della Corte Costituzionale così come la sempre invocata giustizia distributiva, non sono nient’altro che una derivazione della proportio dantesca.
E’ arrivato il momento di ricorrere alle Tre donne che intorno al cor mi son venute che, squarciado il velo di Maya dell’allegoria, ci riportano proprio al punto di partenza: Dante e il diritto, Dante e le tre donne (la “Drittura” ossia la giustizia divina e naturale; lo ius gentium, il diritto comune, della nazione e dei diritti umani, figlio della Drittura e infine, per una sorta di partenogenesi dal diritto comune, la legge positiva).
L’incontro è finito così come l’appuntamento con le lecturae Dantis metellianae del 2018.
Il prof. Marco Galdi, esaustivo senza essere mai pedante, rigoroso ma dall’eloquio coinvolgente, riesce perfettamente nella difficile impresa di trovare corrispondenze (e che corrispondenze!) tra il sommo poeta e il diritto.
All’anno prossimo con nuovi, entusiasmanti incontri sul nostro Dante.