Volontà, voluttà, orgoglio e istinto: erano queste le caratteristiche che per Gabriele D’Annunzio erano alla base della sua teoria del “superuomo”, un’ interpretazione, anche se piuttosto deviata, delle idee di Friedrich Nietzsche. Con una leggera forzatura possiamo vedere riassunti nei quattro punti della “quadriga imperiale” le tappe, tenendo sempre in conto come ogni esperienza letteraria sia però costituita da “corsi e ricorsi”, dell’avventura letteraria dello scrittore abruzzese.
Le prime suggestioni della sua arte il D’Annunzio le ritrova nel naturalismo provandosi anche con varie opere in questo filone letterario, che però viene privato della sua carica ideologica e sociale, per rifarsi ad un gusto del selvaggio che sicuramente gli giungeva dalla sua terra natia.
Fondamentale per il D’Annunzio sarà poi l’incontro con il decadentismo europeo dal quale assimilerà soprattutto la tendenza all’irrazionalismo: in questo modo il poeta svilupperà il rifiuto della ragione come mezzo di conoscenza, per rifarsi al senso e all’istinto come tramite per investigare il proprio io, che nei suoi abissi, coincide con il fluire vitale che sfugge alla conoscenza intellettiva. La volontà di ricollegarsi alle forze che sono alla base della vita comporta sia un totale immergersi nelle cose sia un ricreare poeticamente la realtà tramite la trasfigurazione degli oggetti e delle figure: questo è il panismo dannunziano, la sua fonte poetica più autentica che gli ha permesso di comporre le sue migliori poesie.
Questa vena poetica del D’Annunzio viene, frequentemente, contaminata da una retorica raffinata, ma comunque evidente; si sviluppa così l’estetismo, pervaso di intenti auto-celebrativi, di auto-proclamazioni come poeta delle cose mai dette e dalla sensibilità straordinaria. Accanto all’esaltazione dell’io ritroviamo i temi del barbarico, dell’erotismo nonché l’esaltazione dell’amoralità che culmina nell’ideale di una vita inimitabile, ideale che il D’Annunzio non lascia su carta ma che mette in pratica con vicende amorose, duelli, che suscitavano rumore intorno alla sua figura. Questa nuova tendenza estetizzante del poeta pescarese (che comporta l’abbandono del panismo) potrebbe essere considerata anche come un affinamento fino al languore (concetto derivante anch’esso dal decadentismo europeo, specie dall’ambiente francese) dell’ispirazione sensuale che muoveva il D’Annunzio più propriamente panico.
A questo punto però possiamo vedere anche il successivo rinnovamento del poeta, culminante nel superomismo, come un’ulteriore declinazione del sensualismo panico, stavolta in chiave impetuosa e aggressiva. Il superomismo, che conferì al D’Annunzio una funzione di guida delle nuove generazioni, si basava sulla volontà di dominio, sull’esaltazione della violenza, sullo sprezzo del pericolo; in sostanza il superomismo si legava ad un forte nazionalismo. In base a questa sua nuova ideologia, il D’Annunzio, allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruolò volontario nell’esercito italiano, all’avanzata età di cinquant’anni, compiendo talvolta gesta davvero straordinarie come il volo su Vienna; quindi, anche e soprattutto stavolta, il D’Annunzio unì le sue ideologie alla realizzazione pratica.
Nonostante il grande successo tributatogli nel periodo a lui contemporaneo il miglior D’Annunzio letterario è sempre rimasto il D’Annunzio panico, il poeta dell’immersione nel tutto, lontano dai fasti e dalla mondanità. In questa prospettiva il miglior lavoro del poeta discepolo di Pan (purtroppo per poco) risiede in un particolare libro delle Laudi, Alcyone. In quest’opera l’ebbrezza panica, l’annullamento della propria persona fisica per giungere alla comunione con le cose della natura, giunge al massimo grado, unitamente alla tendenza a ricreare poeticamente la realtà tramite quest’immersione nel flusso vitale. Probabilmente la poesia più rappresentativa della lirica dannunziana in Alcyone è La pioggia nel pineto. Una composizione in cui l’elemento musicale predomina in misura così massiccia che la serie di immagini silvane che il D’Annunzio ci propone, siano esse visive, olfattive o legate agli altri sensi, si dissolvono in questa vera e propria partitura musicale. Allo stesso modo anche le parole sembrano avere valore non per il significato semantico quanto più per le sensazioni che possono suscitare tramite la loro fonetica. La situazione narrativa che la poesia presenta è molto esile: il poeta ed Ermione, figura femminile più inventata che appartenente all’ordine delle cose reali, cercano riparo dalla calura estiva in un bosco e poco dopo inizia a scendere la pioggia, prima su un paesaggio boschivo arso e desideroso di frescura, poi a contatto con elementi naturali che, già bagnati dalla pioggia, fanno risplendere le gocce d’acqua.
La lirica essenzialmente si dipana lungo due direttrici: la pioggia che cade prima pacatamente e poi s’intensifica gradualmente, la trasformazione per momenti successivi del poeta e di Ermione in cose della natura. La parola con cui il D’Annunzio apre la poesia: “Taci” da un lato indica l’inizio del fenomeno naturale, ma dall’altro serve soprattutto a creare il senso d’attesa di un avvenimento prodigioso, che quasi si avvicina al mito classico: la progressiva trasformazione dei due protagonisti. Il poeta ed Ermione prima vengono bagnati dalle pioggia, poi s’immergono nel mondo naturale ed infine diventano loro stessi due elementi dello “spirto silvestre”: a questo punto la lirica sembra orientata verso un tono favolistico, ma la “favola bella” è evitata grazie alla consapevolezza del D’Annunzio della labilità di questo mondo silvano ricreato poeticamente: lo scrittore, infatti, lo mette in evidenza nella chiusa della prima strofa (“che ieri / t’illuse, che oggi m’illude”) e dell’ultima (a pronomi invertiti).