La crisi finanziaria, a livello mondiale, sta facendo pagare i suoi costi ai singoli, alle persone. La continua ricerca dell’aumento della produttività strangola il lavoro ed in particolar modo il lavoro sociale e quello cooperativo. In quest’epoca di grandi trasformazioni economiche e di riassetti del mondo del lavoro, la flessibilità dei rapporti fa diminuire le garanzie per i lavoratori; che siano questi generati da relazioni di collaborazione, di prestazioni occasionali o di qualsiasi altra natura.
Il mondo del precariato non distingue più i tempi di vita da quelli del lavoro e questa confusione genera insoddisfazioni, stress, anomalie, incidenti.
“La resistibile ascesa del lavoro flessibile” è un libro di Grazia Moffa, docente di Sociologia del lavoro e ricercatrice dell’Università di Salerno, che ha il merito di presentare un lavoro di ricerca iniziato nel lontano 2006 sugli incidenti e morti sul lavoro, ma soprattutto di riconfigurare la problematica in un rapporto causale.
Durante l’incontro di venerdì 24 maggio, tenutosi presso l’aula 4 della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno alle 16:30, il sociologo del lavoro Francesco Calvanese fa presente che la ricerca ha visto impegnati numerosi ed importanti studiosi che hanno ricondotto lo studio ad alcune chiavi interpretative, come l’esame dell’insufficienza delle misure di sicurezza, la scarsa protezione del lavoro degli immigrati, in gran parte irregolari ed in generale l’aggravarsi delle condizioni di lavoro.
Il lavoro della Moffa presenta chiaramente dei nessi di responsabilità oggettiva tra occupazione, nuove misure di flessibilità, incidenti e caduti sul lavoro.
In particolar modo l’autrice approfondisce in un rapporto causa-effetto i nessi tra:
- L’aumento della flessibilità nel lavoro e gli incidenti;
- La diffusione del lavoro precario e gli incidenti;
- L’allargamento del concetto di incidenti sul lavoro alle malattie professionali;
- L’evidenziarsi del carattere di classe di tale problematica: come ad esempio è stato possibile verificare in seguito alle catastrofi naturali e alla distruzione di contrade e villaggi prevalentemente abitate da operai, poveri ed immigrati.
Dagli incidenti scaturiscono morti, malattie, invalidità fisiche momentanee e permanenti. La moltitudine di danni recati ai lavoratori pongono all’ordine del giorno l’accento sulle teorie del suicidio, proprie della sociologia classica.
Raffaele Marmo, Direttore Generale del Settore Comunicazione al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nel suo intervento non parla di Durkheim e di anomia, sottolinea invece l’inefficacia delle passate campagne nazionali e ministeriali di comunicazione sociale e pone l’accento sull’importanza della formazione istituzionale e pubblica concepita come mezzo primo per attuare una reale e più efficace sensibilizzazione che si trasformi in una successiva prevenzione.
La scuola, cosi come l’Università, ha il dovere deontologico di svolgere il ruolo di agente capace di connettere le persone al mondo del lavoro, senza farlo a caso, formando e innescando processi di empowerment, poiché senza coscienza non può esserci nemmeno prevenzione.
A tal proposito di notevole spessore è l’intervento di Adalgiso Amendola, Direttore dell’area didattica di Sociologia. Il sociologo, specializzato nell’area del diritto, inizia la sua introduzione all’incontro accennando Marx e le teorie del plus valore, generato dai lavoratori. Successivamente il suo accento ricade sulla funzione specifica dell’Università nell’estrazione del profitto e sulla responsabilità sociale e civile che deve necessariamente assumere come “fabbrica di cultura”. L’Università deve essere un laboratorio aperto d’idee che con i giusti strumenti deve imperativamente formare delle coscienze critiche.
Ed è a proposito di critiche che l’incontro assume un significato aggiunto.
Le bacchettate del pubblico e degli invitati nei confronti dell’assessore al lavoro della Provincia di Salerno Pina Esposito sul compito e sul lavoro (non) svolto dai Centri Provinciali per l’impiego sono accompagnate da una più che giusta critica dell’autrice nei confronti dei dati INAIL sugli incidenti sul lavoro.
La Moffa evidenzia l’inadeguatezza statistica di tali dati ed avverte sul fatto che l’ottimismo maturato ultimamente per la tendente riduzione degli incidenti non sia frutto di un’analisi reale, poiché in seguito alla larga diffusione del lavoro precario e del lavoro nero, la gran parte degli incidenti sul lavoro degli immigrati sono registrati come incidenti capitati in strada, nel migliore dei casi.
Ciò nonostante le statistiche parlano chiaro: 750.000 incidenti sul lavoro nell’ultimo anno. Tralasciando morti e suicidi. Anche con tali cifre quegli ottimismi millantati in sede politica dovrebbero far riflettere, ancora più di trent’anni fa, quando iniziarono gli studi sulla materia in questione.
Le testimonianze riportate nel libro riescono a dare ancor di più una rappresentazione reale del fenomeno. Alle cattive esperienze di Avellino con la “Isochimica” e di Montesano sulla Marcellana con la “Bimaltex” si affiancano le denunce dei lavoratori della “Thyssen” di Torino e quelle degli uffici Berlaymont di Bruxelles.
Senza dimenticare che, anche grazie ad altri contributi dell’autrice come “Prostituzione migrante. La questione dei clienti”, registriamo in Campania le condizioni difficili del lavoro informale, sommerso ed irregolare, soprattutto nelle aree della Piana del Sele in provincia di Salerno, nell’irpinia nelle zone del terremoto dell’80’ e nel napoletano.
Nel “La resistibile ascesa del lavoro flessibile” il case study è preceduto da uno studio storico-economico che porta la firma di Mirielle Bruyer, docente d’economia dell’Università di Tolosa 2.
La studiosa durante l’incontro del 24 maggio a Fisciano sottolinea le sue origini italo-francesi, l’esperienza familiare del lavoro in fabbrica e quella personale di ricerca nel caso dell’esplosione dell’impianto petrolchimico “AzF” (Azote de France) di Tolosa nel settembre del 2001. Riportando la circostanza, chiarisce come il procedimento del sub-appalto possa incidere non solo sulla qualità del lavoro svolto, ma anche sulla probabilità di disfunzioni e di incidenti.
La Bruyer nel libro spiega che l’economia, la politica economica e la vita dei lavoratori nel mondo è stata caratterizzata da un tipo di capitalismo che, con il passaggio da imprese industriali ad imprese finanziarizzate dopo gli anni ’80, sta vedendo la scomparsa del lavoro reale, fondato su connessioni stabili tra singoli e dinamiche di gruppo. Come se i lavoratori d’oggi stessero vivendo una rivisitazione della teoria dell’alienazione. La flessibilità crea questo: meno garanzie, meno inclusione, meno integrazione, meno partecipazione.
L’incontro all’UNISA prima delle conclusioni dell’autrice vede l’intervento del Segretario generale della CGIL Campania Franco Tavella che evidenzia come “l’ascesa per definizione sia qualcosa d’irrefrenabile, implacabile, appunto irresistibile. Eppure quella del lavoro flessibile appare a Grazia, e a noi, come un fenomeno al quale si può resistere”.
Tra passione e speranza.