Il problema del precariato ha assunto ormai nel nostro Paese dimensioni preoccupanti, non solo nel settore privato. A protestare sono soprattutto i lavoratori del Comparto Scuola dipendenti del MIUR, costretti a subire la reiterazione ingiustificata dei contratti a tempo determinato e, cosa ancora più grave, concernenti posti del tutto vacanti, ossia previsti in organico di diritto e, di fatto, non coperti da titolare. Identica sorte è toccata ai docenti del Comporto AFAM da anni inseriti nella graduatoria nazionale introdotta dalla legge 143 del 2004.
Così, con uno strumento eccezionale qual è il lavoratore a termine, lo Stato soddisfa il fabbisogno ordinario e ciò non è ammissibile alla stregua della normativa europea.
La direttiva 1999/70/CE, infatti, relativa all’accordo sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES e recepita nel nostro Paese con il Decreto legislativo 368/2001, ribadisce il principio secondo il quale il lavoro a tempo indeterminato costituisce la regola, mentre il contratto a termine dovrebbe essere ammissibile solo in ipotesi del tutto eccezionali e per far fronte ad oggettive e temporanee esigenze del datore di lavoro.
Alla direttiva ha fatto poi seguito l’Orientamento della Corte di Giustizia delle Comunità Europee che, chiamata più volte a pronunciarsi sulla questione del precariato, ha confermato la piena applicabilità della normativa di cui alla direttiva anche al settore pubblico, sebbene con la possibilità di sostituire la sanzione della conversione del contratto con il solo risarcimento del danno alla imprescindibile condizione, però, di concreta effettività del rimedio.
Una effettività, che in Italia purtroppo non c’è mai stata, considerato che, nonostante una esplicita previsione in tal senso contenuta nel TU sul Pubblico Impiego, lo strumento del contratto a termine è fortemente aumentato negli anni.
Di qui il massiccio ricorso dei lavoratori al contenzioso giurisdizionale, per ottenere la conversione dei contratti in rapporti di lavoro a tempo indeterminato oltre al risarcimento del danno ed a tutte le differenze retributive.
A scoraggiare le pretese dei dipendenti è da poco intervenuta sulla questionela Corte di Cassazione con sentenza n. 10127 del 20 giugno 2012, nella quale i Giudici hanno sostenuto la sussistenza di ragioni “obiettive” volte alla disapplicazione del diritto comunitario. In tal modo, ad onta della normativa europea, si giustifica la reiterazione dei contratti a termine per il personale precario nel pubblico impiego ed in particolare nel settore scolastico.
Nei motivi della decisione si afferma : “il conferimento dell’incarico di supplenza, specie quello annuale…” costituisce “il veicolo attraverso il quale l’incaricato si assicura l’assunzione a tempo indeterminato in quanto, man mano che gli vengono assegnati detti incarichi, la sua collocazione in graduatorie avanza”. Ed ancora, la Suprema Corte si spinge fino al punto da individuare nella reiterazione pluriennale dei contratti a termine una : “tipologia di flessibilità atipica destinata a trasformarsi in una attività lavorativa stabile”.
Difficile conciliare simili conclusioni con i dati reali che vedono migliaia di lavoratori subire l’abuso del contratto a termine, ribadiamo, per soddisfare esigenze ordinarie del MIUR e costretti a restare provvisori per decenni. Addirittura molti di loro si affacciano al momento del pensionamento da precari con grave nocumento delle prerogative morali ed economiche.
A ciò si aggiunga che la sentenza , da molti additata come sentenza “politica”, è stata poi accompagnata da una significativa previsione legislativa: l’Art. 53 del d.l. Monti rubricato “Misure urgenti per la crescita del paese”. La norma, apportando una modifica al Codice di procedura civile, prevede l’inammissibilità del ricorso in Appello quando lo stesso “ … non ha una ragionevole probabilità di essere accolto”.
Ebbene, un quadro apparentemente sconfortante per i migliaia lavoratori in lite con il MIUR che rischiano il rigetto totale delle pretese avanzate. Tuttavia, le speranze di stabilizzazione non devono essere completamente abbandonate.
Nello stesso giorno in cui la Cassazione ha deciso, la XIV Commissione Parlamentare della Camera ha espresso un parere motivato favorevole ai lavoratori, prendendo, atto dell’apertura, ad opera della Commissione europea, di ben due procedure di infrazione contro lo Stato italiano.
Le procedure in questione sono la n. 2010/2045 e la n. 2010/2124 ed hanno entrambe ad oggetto la non corretta trasposizione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.
Proprio nell’ambito della procedura n. 2010/2124, la Commissione europea ritiene che la prassi italiana di impiegare personale ausiliario tecnico amministrativo nella scuola pubblica per mezzo di una successione di contratti a tempo determinato, senza misure atte a prevenirne l´abuso, violi gli obblighi della clausola 5 dell´Accordo quadro.
Vi è di più, stando ad indiscrezioni raccolte dalla Rappresentanza permanente dell´Italia presso l´UE, i servizi della Commissione europea si accingerebbero ad inoltrare una lettera di messa in mora complementare, visto l’ambito estremamente esteso del ricorso abusivo al contratto a termine, non più circoscritto al solo personale ATA, bensì concernente i diversi ruoli del personale della scuola.
Si rammenta che le sanzioni pecuniarie per l’esecuzione delle sentenze rese al termine di una procedura di infrazione sono state fissate recentemente dalla Commissione con la Comunicazione SEC 2005 n. 1658. La sanzione minima per l’Italia è stata determinata in € 9.920.000 mentre la penalità di mora può oscillare tra 22.000 e 700.000 euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento, a seconda della gravità dell’infrazione a monte.
La questione appare, quindi, tutt’altro che definita e risolta ed i migliaia di lavoratori in lite possono ancora sperare di essere stabilizzati. Si auspica, al riguardo, che i Giudici nazionali chiamati a pronunciarsi sui ricorsi pendenti, visti i contrasti interpretativi ancora sussistenti, sospendano i giudizi in corso e rimettano la questione di pregiudizialità europea direttamente alla Corte di Giustizia.
(a cura dell’ Avv. Antonella Mastrolia)