Sono mesi che si sente parlare di Isis e di minaccia terrorismo. Ma siamo davvero sicuri che tutto ciò che ci raccontano sia l’effettiva verità? Ecco cos’è in realtà l’Isis e cosa si prefigge di ottenere
Che cos’è l’Isis? Perchè negli ultimi mesi vediamo questo nome scritto tra i titoli dei tg e sulle prime pagine dei giornali? Partiamo col dire che i mass media, soprattutto quelli italiani, non sempre vanno oltre la notizia cercando di analizzare ciò che ha potuto scatenare un determinato avvenimento, ma spesso trascendono il tutto riportando soltanto il fatto. Spesso dev’essere la curiosità a spingere il lettore o il telespettatore a informarsi su ciò che realmente va saputo e non semplicemente imboccato dai mezzi di comunicazione di massa.
Detto ciò, concentriamoci su ciò che ultimamente sta attirando l’attenzione di tutto il mondo: l’Isis. Esso è un gruppo jihadista attivo in Siria e Iraq intento a costituire un califfato e proclamare la popria indipendenza con a capo Abu Bakr al-Baghdadi. L’ONU e tutte le emittenti giornalistiche la definiscono una delle organizzazioni terroristiche più violente e spregiudicate degli ultimi tempi per gli atti che sta compiendo sia verso il mondo islamico sia verso l’Occidente.
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Abu Bakr al-Baghdadi, attualmente califfo dell’Isis, è il successore al potere di Abu Omar al-Bagdadi, ucciso nel 2010, che nel 2006, a sua volta, prese il posto di Al Zarqawi. Per chi non lo conosca, Abu Musab al-Zarqawi fu il fondatore in Iraq della AQI ( acronimo per Al-Quaeda in Iraq) per volontà di Osama Bin Laden in persona, in modo da contrastare l’avanzata americana in territorio iracheno. Dopo la morte di Bin Laden nel 2011, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri prende il comando del gruppo terroristico islamico Al-Quaeda, allontanandosi dalle manovre che l’Isis aveva in mente di svolgere. Ci sono voci che parlano però di contatti tra le due fazioni terroristiche, entrambe intente ad accaparrarsi i pozzi petrolifri del nord dell’Iraq.
I giacimenti di petrolio in Iraq sono dunque l’obiettivo ufficioso dello Stato Islamico Siriano, che già sfrutta quelli presenti in Siria. Ma siamo sicuri che le zone petrolifere irachene siano sufficienti per poter garantire stabilità economica a un gruppo fondamentalista che ha attirato su di sé l’attenzione di tutto il mondo? In effetti esse non sono così ricche come quelle siriane o quelle del sud dell’Iraq, che dal 2003 sono, indirettamente, sotto stretta osservazione da parte degli americani. Si apre qui un altro capitolo. Gli USA, vedendosi seriamente minacciati dal neo-califfato istituito da Abu Bakr al-Baghdadi, hanno finanziato e continuano a finanziare l’Iraq in quanto paese “alleato”, garantendo copertura bellica attraverso raid aerei al nord del paese e sulla Siria per bloccare l’avanzata degli jihadisti dell’Isis.
C’è da dire che, mentre da un lato l’Iraq è difeso dagli Stati Uniti convenzionalmente, l’Isis è appoggiato e allo stesso tempo sovvenzionato da diversi Paesi del Medio-Oriente. Lo scrittore e giornalista britannico David Icke sostiene che il califfato islamico siriano abbia a disposizione più di 2 miliardi di dollari, derivati da finanziamenti provenienti da Qatar e Arabia Saudita, oltre che sostegno morale e fisico (guerriglieri armati) da parte di Somalia e Giordania. L’Iran, in particolare, ha sfondato il confine con l’Iraq intervenendo con ben 500 uomini delle forze armate del Quds, il più temibile corpo d’elite della Guardia Nazionale e titolato come il più efficiente del Medio-Oriente.
L’dea che fa più paura ai Paesi di quell’area è la possibilità che l’Isis crei conflitti interni tra musulmani sciiti e sunniti, spaccando le ideologie statali e portando gli estremisti al potere. Il pericolo che ciò accada è minimo dal momento che, secondo l’esperto analista di jihadismo Charles Lister, il gruppo siriano conti ufficialmente circa 8mila uomini, un po’ pochi per riuscire a ottenere tutti quei territori. Probabilmente a questi 8mila uomini si sono aggiunti gruppi baathisti, ossia sostenitori del partito Baath, tra le cui fila risultava anche Saddam Hussein. Questi gruppi hanno tutti un unico obiettivo: spodestare dal governo iracheno lo sciita Nuri al-Maliki in quanto sostenitore degli Stati Uniti d’America.
L’Occidente, dopo aver garantito la pace per circa 60 anni in Medio-Oriente, si trova dinnanzi a uno scenario smembrato dalla guerra e dall’instabilità politica. Ciò che è scaturito da anni di oppressione, repressione e colonizzazione da parte del capitalismo e della globalizzazione occidentale lo si sta pagando attraverso il rigurgito violento delle popolazioni medio-orientali e non solo:
- Tunisia, vietata la costituzione di partiti a stampo religioso per evitare scissioni interne;
- Egitto, dopo la caduta di Mubarak la nazione è ancora alla ricerca di un’identità politica; costantemente in attesa di un’intesa con Russia e Turchia;
- Libia, in molti rimpiangono il colonnello Gheddafi che grazie alla sua sicurezza e padronanza garantiva una certa stabilità; ora il Paese è frantumato in tante città stato e le sparizioni abbondano;
- Siria, il governo di Assad sta attirando l’attenzione per le sue azioni sfrontate e per i suoi atti barbarici contro l’umanità; è accusato di aver usato armi chimiche contro i bambini, ma è stato accertato che a farlo erano stati i ribelli per provocare l’intervento degli USA;
- Mali, culla di jihadisti estremisti; molti di essi sono in andirivieni dall’Italia e dalla Libia;
- Somalia, dal 20 luglio 2006 il Paese è afflitto dalla guerra contro l’Etiopia per il controllo del governo transitorio; Stati Uniti presenti nel conflitto; il Paese pullula di jihadisti estremisti;
- Qatar, finanziamenti economici per l’Isis e ai ribelli estremisti;
- Arabia Saudita, finanziamenti economici e di armi per l’Isis;
- Giordania, per il momento si dichiara neutrale e rinnega le idee fondamentaliste siriane; nel mirino dell’Isis;
- Iraq, finanziato da USA e sotto attacco dei siriani da mesi; vista la situazione gli Stati Uniti bombardano la Siria e il nord del Paese; in dieci anni di guerra le vittime sono più di un milione e sono destinate a crescere;
- Afganistan, i talebani si rinforzano sempre di più, ma la NATO sembra intenzionata a lasciare i suoi territori per concentrarsi meglio sulla Siria; si da fiducia al neo governo Ashraf Ghani;
- Iran, cerca di sfruttare la situazione di debolezza irachena per poter affermare la propria potenza; Hassan Rouhani aperto all’occidentalizzazione del Paese.
La macchia di violenza sembra estendersi come l’olio e l’Europa è a due passi. Non a caso, le minacce lanciate dall’Isis non sono rivolte solamente agli Stati Uniti, ma anche all’Italia, alla Francia e alla Spagna che stanno intensificando i controlli anti-terrorismo nelle capitali e nelle città più importanti. Obiettivi più a tiro sono le metropolitane, prese di mira anche negli anni passati, e gli aeroporti più affollati. L’Italia ha parecchie zone rosse esposte al pericolo terrorismo, quali Roma, Milano, Torino e Napoli che sono tenute sotto stretta osservazione dall’Anti Terrorismo Pronto Impiego (ATPI), unità operativa della Guardia di Finanza. In realtà, la vera minaccia per l’Italia non proviene direttamente dalla Siria, ma dalla Libia. Infatti, a causa della forte instabilità politica causata dal post Gheddafi, la popolazione è in mano al caos e il pericolo maggiore è che cada in mano agli jihadisti. Dopo l’intervento militare francese alcune formazioni estremiste jihadiste provenienti dal Mali si sono stabilite in vaste aree del sud e in quelle costiere, così come in aree cittadine limitrofe a Bengasi e Tripoli. Esattamente di fronte alla nostra penisola.
Sebbene il rischio attacchi sia alto, il nostro premier Matteo Renzi, nell’intervento alle Nazioni Unite, ha continuato a ribadire il sostegno agli Stati Uniti e la presenza rigida dell’Italia nella coalizione istituita per metter fine al genocidio degli estremisti siriani. “L’Isis – ha sottolineato il premier – è una minaccia terroristica, non espressione di una religione. Quando sono stato a Erbil ho visto che è in corso un genocidio”. Lo Stato islamico “Non è – secondo Renzi – una minaccia regionale, ma un rischio per tutta la comunità internazionale”. E ha poi assicurato: “Il sostegno italiano, nel rispetto della Carta Onu e delle prerogative del Parlamento, all’iniziativa della coalizione”. Confermando la posizione italiana che ha annunciato d’inviare aiuti e un aereo da rifornimento in Iraq, ma non parteciperà ai raid militari.
I raid in Siria e in Iraq continuano ora dopo ora. Oggi se ne contano circa 15. Secondo alcuni, più gli attacchi saranno insistenti e più si genererà violenza e voglia di ribellione dall’altro lato. L’Occidente ha la piena convinzione di avere il coltello dalla parte del manico, ma in realtà si accorgerà che non è affatto così.