Le Piccole e Medie Imprese della Provincia di Salerno propongono alle istituzioni una serie di misure per superare la crisi economica
A seguito della crisi economica in cui si è ritrovato il nostro Paese per le conseguenze del Coronavirus, le imprese dell’artigianato e della piccola media impresa hanno subito ripercussioni gravissime che, in molti casi, hanno portato alla chiusura delle attività. Più volte le Associazioni di categoria sono scese in campo per far sentire la loro voce, per cercare di ottenere provvedimenti a tutela dei propri iscritti, ma, come spesso accade, troppe voci disunite, sebbene dicano concettualmente la stessa cosa, non sempre fanno un coro intonato.
Ed è per questo che Casartigiani con il presidente Mario Andresano, CLAAI con il presidente Gianfranco Ferrigno, Confartigianato con il presidente Franco Risi ed Unimpresa con il presidente Demetrio Cuzzola hanno deciso di unire le loro voci e, insieme, portare avanti le istanze dei tanti imprenditori che, in questo momento di totale confusione, si ritrovano disorientati. Le quattro Associazioni di categoria, pur mantenendo la loro univocità, vogliono portare avanti insieme le istanze del territorio dinanzi a tutti gli organi istituzionali affinché la loro voce possa avere un suono più forte ed un peso più consistente.
Tante le proposte che le Associazioni intendono portare al tavolo della trattativa istituzionale, anche perché il particolare momento storico ha portato a molteplici riflessioni relativamente a quanto si sta facendo per sostenere le imprese; ma le misure adottate, senza una prospettiva di rilancio ed un approccio economico di più ampio respiro, sono come acqua che non toglie sete, un rimedio momentaneo ed apparente che, di fatto, non garantisce un futuro.
Il ricorso allo smartworking o lavoro agile, ad esempio, non può significare la sospensione delle attività; invece gli imprenditori, allo stato attuale, si ritrovano a scontrarsi quotidianamente con uffici pubblici che rallentano o, in alcuni casi, addirittura bloccano l’iter burocratico per la presentazione di una pratica per la nascita e/o l’ampliamento di impresa, ma anche semplicemente per attività ordinarie che ugualmente necessitano di autorizzazioni e, tutto ciò, a danno dell’economia e di quegli imprenditori che ancora credono nel sistema e decidono di investire. Da qui la richiesta che si intervenga in tempi rapidi con riforme concrete e prospettiche per sburocratizzare tanti percorsi e alleggerire gli oneri che i privati non possono più sostenere. Un aiuto concreto ed inequivocabile, che garantisca alle imprese ristoro vero, potrebbe essere l’annullamento, per l’anno 2020 e 2021, delle imposte locali IMU – TARI – TASI – TOSAP. In subordine si potrebbe andare incontro agli imprenditori con la riduzione delle aliquote del 50% e la sospensione di tutti i versamenti dovuti, fino al 31/12/2021.
Altro punto spinoso della crisi economica causata dalla pandemia Covid-19 è l’impossibilità per tantissime micro imprese di accedere agli aiuti previsti dai vari DPCM che si sono succeduti. In particolare si fa riferimento a tutte quelle attività che, seppure rientranti nelle categorie economiche previste dagli allegati riferiti ai Codici ATECO, non hanno i requisiti richiesti in quanto esercizi avviati dopo il mese di aprile 2019, periodo di riferimento previsto dal Governo. Ed ancora, sebbene siano già stati apportati dei correttivi nell’ultimo DL “Ristori”, molte di queste attività continuano ad essere escluse in quanto l’apertura della relativa partita IVA è datata negli ultimi mesi del 2018 anche se l’attività è iniziata nel corso del 2019. E’ questo, in particolare, il caso di tutte quelle imprese nate nelle regioni del Mezzogiorno e che hanno aderito a sostegni statali come “Resto al Sud” che, nel dettaglio, prevedono la costituzione di società o di ditte individuali all’atto dell’approvazione pur senza erogazione finanziamenti che saranno erogati successivamente mediante la presentazione di stato di avanzamento delle attività previste dai progetti approvati. Un classico esempio è dato da quell’attività che ha presentato il progetto nel secondo semestre 2018 e che, dopo verifica dello stesso, ha ottenuto l’approvazione nel mese di ottobre dello stesso anno, potendo costituire la società, con iscrizione alla Camera di Commercio e apertura partita iva nel mese successivo ed ottenendo la delibera di finanziamento nel mese di marzo 2019. Tra inizio lavori ed acquisto attrezzature, l’attività con incasso di corrispettivi o fatture di questa PMI è iniziata non prima del mese di ottobre 2019, il che vuol dire che questa azienda è sistematicamente esclusa da ogni beneficio nonostante abbia dovuto interrompere la sua attività a causa della pandemia. L’imprenditore di questo caso emblematico come potrà sopravvivere essendo venuto meno l’incasso di produzione e non potendo accedere ad alcun sostegno economico? In questa vicenda paradossale ci si ritrova con un’azienda che, nonostante sia stata verificata dallo Stato tramite, magari, Invitalia, non potrà sopravvivere con tutti gli immaginabili danni professionali e con lo stesso Stato danneggiato dal veder venir meno lo scopo per cui ha erogato finanze. Per questo si chiede ancora una volta di operare per una revisione del DL Ristori inserendo in tempi rapidissimi la possibilità di accesso ai benefici a tutte le Aziende rientranti in questi casi.
Occorre, alla fine, prendere atto che la crisi che si sta affrontando è stata sempre letta in termini economici come una perdita momentanea di fatturato. Invece “questa” crisi sta gravando sull’economia ” relazionale”, incidendo in maniera più lunga rispetto ai semplici giorni di chiusura e modificando comportamenti di acquisto e di utilizzo di servizi. Oltre ai vari indennizzi, va valutata, quindi, l’ipotesi della riduzione dei costi di utenze e di locazioni. Si è consapevoli che la norma non consenta la riduzione unilaterale dei costi di locazione (se così fosse l’eventuale aumento di fatturato dovrebbe comportare un aumento della locazione con la conseguente partecipazione del locatario al rischio aziendale); sarebbe pertanto opportuno che gli enti locali si facciano promotori di “tavoli di accordi” tra le associazioni dei proprietari di immobili e le associazioni datoriali in modo da raggiungere intese atte alla conservazione dei contratti.