Sono trascorsi 34 anni dal terremoto del 23 novembre 1980 che scosse il sud, nello specifico Campania e Lucania, provocando circa 3000 morti e 9000 feriti
[ads2] Era il 23 novembre 1980, una domenica proprio come oggi, quando alle 19:35 un terremoto del settimo – ottavo grado della scala Mercalli (tra i 6 e 7 gradi della Richter) fece sobbalzare l’intero Appennino meridionale, con epicentro l’area di confine tra Avellino, Salerno e Potenza.
Molti hanno paragonato la violenza con cui si sviluppò quella catastrofe all’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo; tra le città si sprigionò subito il caos, mentre un’ora più tardi, alle 20:42 seguì un’ulteriore scossa che tenne in ansia l’intero sud.
Crolli di edifici e vittime cominciavano a emergere dai continui aggiornamenti provenienti da varie zone: Salerno, Lancusi, Nocera Inferiore, Cava de’ Tirreni, Siano. In altre località come Laviano, Colliano, Santomenna e Castelnuovo di Conza si era verificato un vero e proprio disastro, con paesi completamente decimati.
Presso gli ospedali di Salerno e non solo si faceva fatica a soccorrere le vittime del terremoto, poiché vi era un flusso continuo di persone provenienti non solo dalla città stessa, ma che dall’Irpinia. Il giorno successivo alla tragedia migliaia di volontari cercarono di dare una mano per aiutare coloro che erano rimasti sepolti sotto le macerie a venir fuori.
Alla fine, solo in provincia di Salerno, il conteggio delle vittime giunse a un bilancio ufficiale di 674 morti e di 2468 feriti.
Emblematica a tal proposito la frase di Alberto Moravia nell’articolo scritto eccezionalmente per l’Espresso, dal titolo “Ho visto morire il sud” che recita: “Ad un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano”.