Sabato 28 e domenica 29 giugno spettacolare riapertura del Teatro Grande di Pompei con la messa in scena dell’Orestea di Eschilo, trilogia tragica del teatro greco classico
Il Teatro Grande di Pompei, chiuso da tre anni a causa del sequestro deciso dalla Procura di Torre Annunziata nell’ambito di un’inchiesta su appalti per i lavori di ristrutturazione durante il periodo di commissariamento del sito archeologico, ha riaperto le proprie porte per due serate all’insegna del grande teatro tragico.
In scena l’unica trilogia del teatro tragico antico che ci sia pervenuta integra, ossia l’“Orestea” di Eschilo, composta da: “Agamennone” (in scena sabato 28), “Le Coefore” e “Le Eumenidi” (in scena domenica 29).
L’evento è stato organizzato nell’ambito del Forum Universale delle Culture, in particolar modo per i cento anni della Fondazione Dramma Antico di Siracusa che, tra l’altro, ha scelto le opere che sono state rappresentate; la regia degli spettacoli è stata a cura di Luca De Fusco.
[ads2]
Le tragedie che compongono l’“Orestea” rappresentano un’unica storia suddivisa in tre episodi, le cui radici affondano nella tradizione mitica dell’antica Grecia: l’assassinio di Agamennone da parte della moglie Clitennestra; la vendetta del loro figlio Oreste che uccide la madre e il suo amante Egisto dopo dieci anni dall’uccisione del padre; la persecuzione del matricida Oreste da parte delle Erinni e la sua assoluzione finale a opera del tribunale dell’Areopago.
Tragedie significative e dal valore universale, dunque, per una riapertura in grande stile del Teatro Grande di Pompei; del resto non poteva essere diversamente per uno dei teatri più antichi e suggestivi del mondo.
Un vero tuffo nel passato, quello di sabato 28 e domenica 29, all’interno di una struttura costruita nel II secolo a. C. e che fu sepolta, come tutta Pompei, dall’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo.
L’augurio di tutti noi è che il Teatro Grande, dopo il dissequestro e la riapertura, possa ricominciare a ospitare, assiduamente, rassegne ed eventi speciali, come, appunto, è stata l’“Orestea” di Eschilo.