Non sembra sarà buio il cielo dello scrittore salernitano Karim Mangino. Già uscito col romanzo noir ‘Il male’ (Stampa Alternativa), e con i racconti ‘Santa Barbara’ e ‘L’offesa’ (Alberto Gaffi Editore), ha vinto numerosi concorsi letterari tra i quali il Premio Letterario Nazionale con ‘Una favola al castello’, volume adottato come testo di lettura per alunni delle scuole primarie e secondarie. Il romanzo ‘Il cielo buio di domani’ è stato finalista al 3° Premio Letterario “IoScrittore” indetto dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS) nel 2012, ed è stato pubblicato in formato e-book da IoScrittore GeMS.
La storia è una vicenda noir senza speranza e senza redenzione. L’intreccio parte, attraverso piani temporali sovrapposti, dalla tragedia personale del protagonista che perde la figlia, vittima di stalking. Il romanzo è la storia di un’assenza. Ma non è l’assenza della figlia morta, né della moglie che, via da lui, trova modo per canalizzare il dolore e superare il lutto. L’assenza è quella del protagonista da se stesso: “Io non ci sono quasi mai“. Chi non sa esserci per se stesso, non può esserci per qualcun altro: Raffaele non è stato in grado di proteggere la figlia dal suo assassino, e in seguito non sarà in grado di proteggersi da sé. Il vortice autodistruttivo tutto può contro una volontà piccola e senza luce di salvezza.
I temi sociali che emergono in superficie sono lo stalking, il pizzo, i combattimenti illegali tra i cani, ma anche il modo in cui mass media masticano e ingoiano le tragedie quotidiane. Ciò che invece è più in profondità è il sentimento di inadeguatezza della figura paterna, ed è questa inadeguatezza a far calare le tenebre del “buio di domani”. Il buio, che Karim Mangino ha descritto con le giuste atmosfere degli ambienti malavitosi della metropoli napoletana, è in realtà il buio di una generazione che non sa dare futuro ai propri figli: la giovane è uccisa, prima che materialmente, moralmente da chi doveva proteggerla e assicurarle un futuro.
Leggendo questa dimensione sottotraccia, che accompagna tutto il vortice entro cui cade il protagonista coi suoi pensieri ossessivi e di vendetta (egli stesso si vede come un giocattolo a molla), si scoprono i frammenti lirici che fanno da contraltare ai dialoghi in vernacolo tra ceffi della malavita napoletana, e sono la vera cifra stilistica dell’Autore. E’ lì che, pare, Karim Mangino si scopre, lascia cadere le carte, ed ha una mano vincente:
“Raccoglievo le foglie dei platani sui marciapiedi, staccavo rametti dagli oleandri per strada, facevo seccare margherite e gerani tra le pagine dei libri. Petali di rosa, fiori di camomilla, piccoli fiorellini gialli che si sbriciolano appena li tocchi … Quel piccolo spazio è diventato un’erboristeria“.
E’ quando il protagonista, e dietro il protagonista forse l’autore, si ripensa da bambino che la lettura si fa una piana passeggiata di ricordi, piacevole e densa:
“Forse questo è il rifugio sull’albero che quand’ero bambino ho sempre desiderato, un posto tranquillo, lontano da tutto. Le mie mani afferrano un’immaginaria scala di corda e mi tiro su, salgo tra i rami che mi abbracciano le gambe e guardo giù solo un attimo quando sono in cima … C’è ombra quassù tra i rami che nascondono ogni cosa, c’è fresco, c’è silenzio“.
La tragedia da cui la storia parte, la morte della figlia che rompe il nido di pace che su quell’albero Raffaele era riuscito a costruire, rappresenta la paura genitoriale del non riuscire a far rivivere ai propri figli quella mitica infanzia che tutti noi ricordiamo come il periodo migliore della nostra vita. Il senso di colpa del protagonista che ha perduto la figlia lo risucchia completamente. Vorrebbe agire, cambiare, uscire dal gorgo, ma le sue azioni lo fanno affondare ancora e sempre più: un disperato che annega, agitandosi, nelle sabbie mobili. Nemmeno l’azione salvifica e vivificante di un nuovo amore può nulla:
“Lisa è una rarità che mi è capitata e io per anni l’ho tenuta in tasca come un oggetto qualsiasi, una pietra preziosa usata come portachiave“.
Il noir risulta interessante anche per la sovversione dell’ordine stabilito rispetto al ruolo dei personaggi: è il figlio di un rappresentante delle forze dell’ordine a sparare contro la figlia di Raffaele, e invece i malavitosi nelle loro azioni alle volte paradossali e nel loro gergo dialettale rischiano persino di farci simpatia. Un giudizio sul protagonista invece sembra potersi trovare nelle sue azioni più umane (si veda l’episodio del cane da combattimento) e nei momenti di introspezione, quando prende atto che il cielo terso di ieri (ma era proprio terso, o si trattava di illusione?) sarà domani e sempre buio. Eppure il ramo che rischia di spezzarsi, ancora mantiene: un equilibrio naturale è possibile forse solo al di fuori di noi, e mai di dentro.
“Resto con la fronte appoggiata al vetro gelato, lo facevo spesso da bambino di mettermi così a guardare gli alberi sotto la pioggia, le foglie diventavano scure e i rami piegati dal vento, e mi aspettavo di vederne uno spezzarsi da un momento all’altro, ma non accadeva mai“.
L. V.: Karim Mangino, il primo incontro col mondo del protagonista è in un negozio di dischi; tutto il romanzo è scandito da riferimenti musicali, piccole e preziose soundtracks alle parole e alle immagini che queste evocano. Puoi parlarci di questo aspetto del tuo romanzo?
K. M.: Hai colto un aspetto particolare del romanzo, il rapporto del protagonista con il mondo della musica. La musica è uno dei simboli presenti nella storia che mostrano come il protagonista sia un escluso, un emarginato. “Non sono uno che se ne intende di musica mi scivola addosso senza lasciarmi niente” dice a un tratto Raffaele Marino. Ogni volta che viene evocato un brano musicale è per accentuare la condizione di quest’uomo di straniamento rispetto alla realtà, dall’imbarazzo nel Music Shop di fronte agli “espositori carichi di musica che non conosco”, all’ossessivo motivo Each man kills the things he loves che accompagna la trasmissione televisiva, fino al fastidioso My way ad alto volume durante la lap dance. Perfino la musica dell’organetto dello zingaro al parco crea sconcerto e senso di solitudine. La musica è un mondo che il protagonista vive da escluso, simbolo e anticipazione del fatto che Raffaele Marino finirà per essere un emarginato anche nella società.
L. V.: Tu vivi a Salerno, ma hai scelto Napoli che fa da sfondo con luoghi e riferimenti fisici ben precisi alla narrazione. Qual è il motivo di questa scelta? Napoli metropoli rispetto a Salerno piccola e provinciale è indice di una volontà autoriale di allontanamento dal luogo dove si svolge la propria vita, o c’entrano le esigenze narrative delle vicende che si dipanano nel romanzo?
K. M.: La scelta di Napoli come città dove ambientare la storia, benché io viva a Salerno, è dovuta a esigenze strettamente narrative. È fondamentale la presenza della camorra nel romanzo con le sue dinamiche, dalla richiesta mensile del pizzo nei negozi al riciclaggio del denaro. Mi servivano personaggi come Nennillo il killer, Salvatore Onofrio e Armando Santoro i boss, Ciro Marigliano delle onoranze funebri, Carmine Varriale e Giuseppe Sapone, i traditori. Tutta gente che si può trovare solo a Napoli. E naturalmente mi servivano i combattimenti clandestini dei cani, simbolo della vera discesa all’inferno del protagonista. Napoli, purtroppo, è anche questo. Come dice Raffaele Marino di fronte all’arena dei cani: “Ci sono posti a meno di venti chilometri da casa tua che non immagini possano esistere”.
Ecco il link dove è possibile scaricare l’ebook:
http://www.ioscrittore.it/doc/68182/il-cielo-buio-di-domani.htm
Questo il booktrailer: