Poter cambiare identità almeno una volta nella vita è sicuramente uno dei sogni di ogni uomo. Ma se fossimo costretti o, addirittura, se il mutamento quotidiano fosse per noi un lavoro? Come potremmo sentirci?
Holy motors, regia di Leos Carax, racconta 24 ore di vita di “Monsieur Oscar” ( Denis Lavant, attore feticcio di Carax), ore nelle quali, come un lavoro fatto di appuntamenti ai quali è accompagnato dalla sua segretaria-autista Céline (Edith Scob), cambia 10 volte identità (uomo d’affari, anziana mendicante, attore di motion-capture, mostro troglodita, assassino, vecchio malato, ecc.).
Vincitore morale del Festival di Cannes 2012, il film la cui traduzione italiana è “Motori sacri” porta una ventata di innovazione: rappresenta, infatti, il sorprendente, il “mai visto prima”.
Un film che lascia incantati (ed un po’ inquietati) dalla prima inquadratura e che attraverso la sua struttura parla non solo della vita di un uomo, ma del cinema stesso e di noi spettatori; non è un caso che la pellicola inizi con una scena in cui degli spettatori immobili, ad occhi chiusi, guardino o, come in questo caso, “non guardino” lo schermo nel quale vengono riprodotte le prime immagini cinematografiche mai create: “corpi in movimento”.
Un intento metacinematografico, dunque, quello di Carax, che attraverso i personaggi interpretati egregiamente da Denis Lavant, rappresenta, in modo folle, i vari generi del cinema: dal grottesco al film musicale; dall’intimista-generazionale all’action movie americano.
Molti aggettivi possono essere rivolti a questa pellicola. Geniale sicuramente, sconvolgente, scandalosa, irriverente ma soprattutto drammatica. Nonostante non si comprenda perfettamente il motivo di questi cambi di identità, né chi sia davvero Monsier Oscar, attraverso una profonda visione, possiamo dedurre che Carax pone l’attenzione su un puntofermo nella storia dell’arte: la ricerca del proprio essere, il nostro protagonista, infatti, è tutti e allo stesso tempo nessuno.
La serie di lunghi appuntamenti, che superano l’immaginazione comune, portano lo spettatore in vari luoghi della città di Parigi attraversati dalla limousine nella quale Oscar prepara, di volta in volta, se stesso; plasma il suo animo e la sua condizione mentale. Un intricato collegamento di scene in cui gli scarsi dialoghi ci fanno comprendere come il corpo, i gesti e le movenze siano fondamentali.
Possiamo dire, concludendo, che una sorta di “messaggio segreto” è celato sotto la rappresentazione della vita del nostro protagonista. Deduzione confermata dal breve dialogo tra Denis Lavant e Michel Piccoli, colui che sembra essere il motore di questo intricato cambio di identità: il cinema è probabilmente più bello della vita reale. Come dirà Monsieur Oscar: “Ciò che mi manda avanti è la bellezza del gesto”.