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Gate Salerno: dialoghi con Luigi Prestinenza Puglisi e Simone Sfriso

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Gate Salerno: dialoghi con Luigi Prestinenza Puglisi e Simone Sfriso

Gate Salerno, inaugurata la prima giornata del Festival dell’Architettura; l’arch. Simone Sfriso racconta l’esperienza di progettista per Emergency

[ads2]Genius Loci, Architettura, Territorio ed Economia, quattro aspetti fondamentali dell’urbanistica racchiusi in un unico acronimo: GATE.

Il Festival internazionale di Architettura GATE Salerno è stato inaugurato con successo nel pomeriggio del 5 novembre nello storico Complesso Monumentale di Santa Sofia, che da ormai dieci anni fa da teatro a tutti gli eventi culturali e artistici della città di Salerno.

Presenti all’inaugurazione gli ideatori del progetto Gianluca Voci, Presidente dell’associazione Effetti Collaterali, Luigi Centola di Nib (New Italian Blood), l’Assessore alla Cultura Ermanno Guerra e gli ospiti Luigi Prestinenza Puglisi e Simone Sfriso.

Lo scopo del Festival internazionale è spogliare il concetto di Architettura del solito élitarismo esaltandone la capacità di farsi promotore culturale e sociale diventando patrimonio collettivo.

Questo lo facciamo ha spiegato Gianluca Voci – attraverso una serie di conferenze con alcuni degli Architetti Italiani di nuova generazione, due mostre itineranti Ombre d’artista e Legno Estremo, laboratori e corsi didattici.

gate Luigi Prestinenza Puglisi
Luigi Prestinenza Puglisi

Un calderone, dunque, in cui si mescoleranno diverse esperienze, storie e aspetti dell’eclettico mondo dell’Architettura.

Il tema della prima conferenza è stato la possibilità di intervenire sull’esistente in modo “soft e low cost” mirando a ridurre sia i costi che i tempi di costruzione. Secondo quanto raccontato dal pungente critico e professore di Storia dell’Architettura Luigi Prestinenza Puglisi, il problema in Italia è il vincolo storico, ossia quel senso del dovere inculcato dalle Sovrintendenze che ci spinge a restaurare antiche opere architettoniche trasformandole in gioielli inutilizzabili. “Per fare queste operazioniha spiegato occorrono tempi e costi incredibili. In Italia ormai c’è la regola del dieci, ci vogliono dieci anni per realizzare un’opera di cui poi alla fine non sappiamo cosa farne. La soluzione è creare strutture che siano in grado di rispondere velocemente ad esigenze in tempi veloci.

Su questo tipo di progettazione, si basa il lavoro dell’architetto Simone Sfriso, socio dello studio TamAssociati che da anni si occupa di creare strutture in paesi di guerra che necessitano di tempi brevi e costi ridotti. L’architetto ci ha raccontato personalmente le esperienze vissute durante la collaborazione con Emergency.

Ci racconti la storia dello studio TamAssociati.

TamAssociati è uno studio che nasce 15 anni fa a Venezia, per la progettazione per il sociale. Abbiamo portato nel nostro lavoro quelle che erano le nostre aspirazioni, abbiamo cercato di far coincidere la nostra attività professionale con il nostro impegno sociale. Abbiamo cercato di creare un’agenzia di servizio per quella galassia che si riconosce come terzo settore del no-profit. Questo ci ha portato dal 2004 in poi a lavorare nel continente Africano collaborando con l’associazione Emergency.

Com’è nata la vostra collaborazione con Emergency?

Si può dire sia nata casualmente, perchè Emergency pubblicò un bando di concorso nel 2004 in cui cercava tecnici di cantiere. Nonostante non fosse il nostro mestiere, abbiamo partecipato e da lì sono nati una serie di progetti per ospedali e cliniche pediatriche. Il primo è stato il Centro di Cardiochirurgia a Karthoum, poi sono seguiti altri progetti di cui uno degli ultimi è stato il Centro Pediatrico a Port Sudan.

gate ospedale
Ospedale Salam a Khartoum

Quanto è stato importante il rapporto con Emergency ed è stato difficile integrare un nuovo tipo di architettura in un paese con una propria tradizione alle spalle?

Il rapporto con Emergency è stato molto importante, anche perchè hanno stabilito sin da subito che non volevano dei progettisti con un libro di istruzioni per fare gli ospedali, ma volevano creare una collaborazione intrecciando più competenze, mettendo in rete anche diversi paesi. Questo ci ha permesso di unire tecnologie italiane ai modi di costruire del luogo, studiando ad esempio le torri del vento. Quindi non è stato un limite, per noi, la tradizione architettonica del luogo ma ci ha permesso di creare qualcosa di nuovo, rimanendo in costi ridotti e tempi brevi data l’urgenza della committenza. Abbiamo esaltato le qualità intrinseche di un luogo estremo come l’Africa e l’abbiamo fatto anche grazie al rapporto con le comunità locali.

Per quanto riguarda l’Italia, che vanta una tradizione di materiali come il cemento e il calcestruzzo, sarà possibile sperimentare nuovi materiali e nuove tecnologie? Considerando i tempi lunghissimi e i costi elevati dei cantieri, è possibile mirare alla sostenibilità in Italia?

Una risposta in generale non te la so dare, ti posso dire che molto spesso manca un rapporto con le comunità locali e per questo motivo spesso abbiamo organizzato conferenze, campagne e incontri che mirassero al coinvolgimento della popolazione verso la sostenibilità. Anche se parlare di sostenibilità al giorno d’oggi è rischioso, è un termine scivoloso che rischia di perdere valore se si continua ad abusarne. Cacciari diceva infatti che “l’architettura o è sostenibile o non è”, e noi dello studio siamo d’accordo con questa linea di pensiero. I nostri lavori in Italia sono il frutto delle esperienze in Africa, sia per quanto riguarda il rapporto con le persone che per quanto riguarda le tecnologie. A Villorba abbiamo realizzato il primo EcoQuartiere nella tipologia del cohousing per creare un luogo di condivisione sia per ridurre i costi sia per sradicare quel concetto di casa-fortezza che porta all’isolamento. A Bologna invece abbiamo incominciato questo Condominio Solidale fatto completamente in legno, previsto di aree verdi comuni e zone per il riciclo dei rifiuti. Quindi si in effetti, secondo noi, è possibile realizzare opere “sostenibili” in Italia.