Critica fredda dell’ultima festa di San Matteo di Salerno
[ads2] “La guerra delle arance” andata in scena ieri sera a Salerno è solo la punta dell’iceberg del substrato sociale e culturale di questa città. Il racconto del libro che ha preso codesto titolo si basa sullo sfruttamento degli immigrati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia-Tauro e da qui vorrei partire per rappresentare lo spirito contraddittorio e dissensato della nostra comunità.
Non si comprende, infatti, per quale motivo le decisioni, in generale, vengano ottriate cioè concesse, com’è similmente avvenuto in quella realtà del profondo territorio calabro, e non appunto votate come ogni legge che segue il proprio iter parlamentare di discussione. La sensazione è che possa esserci qualcosa che non sia emerso, che non sia stato ben approfondito nella lettura della vicenda culminata ieri sera nella condanna dei più per questo 21 settembre.
Parrebbe, in effetti, troppo superficiale addebitare le cause dell’intera faccenda alle dichiarazioni dell’Arcivescovo di Salerno, Monsignor Moretti, il quale riorganizzando più sommariamente la processione e invitando a uno svolgimento più sobrio senza fuochi pirotecnici, in ogni caso ha assunto posizione in qualità di ministro di culto e massima Autorità religiosa della città (e quindi come portavoce eucaristico più autorizzato e solenne dei dintorni).
E non solo, visto che la sua linea è ossequiosa di quanto stabilito dalla Conferenza Episcopale italiana con il testo ‘Evangelizzare la pietà popolare. Norme per le feste religiose’ che, in sintesi, detta più raccoglimento spirituale e meno clamori per le feste di culto.
Neppure chiaro si palesa il ruolo del Sindaco, il quale si è limitato ad osservare la decisione. Il problema, però, è che la festa di San Matteo è divenuta nel tempo anche una festa laica che piace anche a chi non è di fede cattolica. Sotto altro aspetto, viepiù, è da tempo che insiste la crisi dei giorni nostri e, allora, non sarebbe stato già e anzitempo il caso d’interpellare la cittadinanza (magari con un semplice “click”) sull’opportunità di svolgere la festa come di consueto oppur no? Se fosse stato il caso di risparmiare qualcosa escludendo i fuochi artificiali e/o altro per rinforzare le casse comunali e quindi i servizi concessi?
I costi dello spettacolo di luci si aggirano intorno ai ventimila euro che non sono molti rispetto al deficit comunale ma che uniti ad altre spese come, tanto per fare un esempio, il costo del pannellone pubblicitario del Teatro Verdi (altri ventimila euro erogati dalla Fondazione Carisal) si sommano e fanno il totale. La politica è molto spesso fatta di gesti per stimolare la crescita spirituale o la ripresa economica, quindi, perché non dare segnali del genere? Atti simbolici che avrebbero reso impossibile paragonare, con uno sforzo esemplificativo, la politica economica cittadina ai giochi che furono usati come arma di seduzione da Commodo, imperatore patricida che sperperò denaro con mesi e mesi di spettacoli al Colosseo.
Ciò che dunque non è condivisibile, registrandosi da diverse parti rimostranze, è il perché non si sia chiesto prima alla cittadinanza la volontà di fare o meno l’evento e in che modo, come una sorta di referendum, tanto più che, stavolta, trattavasi della festa annuale della città che richiama le radici folkloristiche e non solo religiose della comunità e per le quali in definitiva il popolo ha anche diritto al suo “oppio”. Pertanto, una celebrazione che tocca così nel profondo l’animo di questa collettività andava tutelata meglio, rivolgendosi proprio verso i suoi sostenitori con appelli del tipo:-“Volete Voi che la festa di San Matteo si svolga come di consueto con la classica sfilata della statua del nostro Patrono e lo spettacolo di fuochi artificiali alla fine della manifestazione?”.
Un dialogo con tutti coloro che avessero manifestato il proprio interesse alla questione, e non altro, sarebbe stato più che sufficiente evitando di dare questa brutta immagine attuale di Salerno: una città che guarda alle buone prassi europee come la pratica, per citarne una, della raccolta differenziata che, seppur costosa, ciò sembra diretta ad integrare.
E questo è quanto sarebbe dovuto a persone che vivono e risiedono qui da anni e per anni ed anni ancora continueranno a restarci. Lo stesso dicasi per le grandi opere, anche incompiute, che sussistono sul territorio: il Crescent (tanto contestato), il palazzetto dello sport (un rudere), le luci d’artista che attraggono migliaia di visitatori ma che soffrono di mala organizzazione e malcontento di alcuni negozianti, l’aeroporto Costa D’Amalfi sempre in fase di avvio ecc. ecc.
Oltre quindi al dovere d’interpellare chi vive in questa comunità, in tal modo, si darebbe voce anche alle minoranze non più costrette a doversi affidare ad associazioni o ad altri messaggeri per manifestare il proprio libero pensiero. Al più, sarebbe la maggioranza a decidere e, così, dopo la presentazione di idee e progetti di qualsiasi tipo in contraddittorio con la popolazione, si potrebbe ottenere il non plus ultra della vera politica: la benedizione e l’approvazione dei propri elettori anteposte alla realizzazione del servizio.