Editoriale a cura del Direttore Responsabile, Avv. Luca Monaco
Si è conclusa anche quest’anno la tradizionale “tre giorni” dell’esame per diventare avvocato. Un vero e proprio incubo per chi aspira a lavorare nel sempre più difficoltoso mondo forense.
Una prova estenuante, in cui spesso non è sufficiente una congrua preparazione ma occorrono, altresì, una considerevole resistenza fisica e tanta buona sorte.
Non sono il primo a denunciarlo e non sarò l’ ultimo, ma questo rito obsoleto appare sempre di più come una farsa: tre giorni estenuanti il cui fine sarebbe quello di dare prova di avere dimestichezza con i codici e le questioni di diritto proposte dal Ministero della Giustizia, ma che, sovente, finisce col tramutarsi in una sorta di lotteria, il cui esito è affidato al più o meno clemente giudizio di Commissioni esaminatrici, talvolta distratte, quando non addirittura incompetenti.
Le questioni proposte ai candidati, non di rado, risultano ben lungi da quelle di fronte alle quali, normalmente, un praticante viene posto innanzi all’interno di uno studio legale; ciò a vantaggio di quanti (e non sono pochi) non hanno svolto effettivamente la pratica forense e si presentano all’appuntamento più carichi di nozioni astratte, che di una reale preparazione concreta, acquisita sul campo. Ciò perché, l’attuale sistema di svolgimento della pratica forense non è evidentemente sottoposto alle doverose verifiche e consente di ambire al titolo anche a chi nei due anni antecedenti all’esame si è dedicato a tutt’altro.
Ed allora, in quest’ottica, sembrerebbe doverosa una rivisitazione normativa della pratica forense e del relativo esame, ben lungi dall’inutile “pastrocchio” che la nascitura riforma della professione porrà in essere; una riforma che, se approvata, stanti alcuni suoi contenuti assolutamente deleteri per i legali più giovani (si pensi alla ormai famigerata norma cosiddetta “cancella avvocati”), potrebbe rendere vani tutti gli sforzi compiuti da tanti praticanti per raggiungere l’auspicato traguardo.
Ad ogni buon conto, in attesa dei risultati dell’esame ed in questo pur fosco scenario, è indefettibile un sentito “in bocca al lupo” a tutti i candidati, ricordando loro che l’impegno quotidiano che impiegano nelle aule di Giustizia, nelle cancellerie e negli studi legali costituisce il titolo più veritiero e li rende Avvocati di fatto, a prescindere dalla fugace ed algida valutazione di qualsivoglia commissione.