“Si stava meglio quando si stava peggio”.
Saggezza popolare, lo diceva sempre mia nonna. Ma da dove deriva questa affermazione? Un tempo la vita, “motoriamente” parlando, era molto più difficile: mezzi di trasporto rari, auto quasi zero, e condizioni lavorative molto faticose.
Eppure, tutti concordi nel dire che si stava meglio. Soprattutto nei rapporti sociali e nel buon umore.
Perché?
La risposta è molto semplice, al di là dei ritmi di vita molto più soft, quindi con livello di stress minimo, la parola chiave è: endorfine.
Brevemente, cosa sono le endorfine? Sono delle sostanze prodotte dal nostro organismo (ipofisi, surreni e apparato digerente) hanno azione analgesica (tipo morfina) e sono responsabili del senso di appagamento e della rilassatezza. Vengono sintetizzate dopo un rapporto sessuale, dopo attività fisica e durante il ciclo mestruale.
Oggigiorno, la vita ci propone tante situazioni di ‘’agio’’ dal tipo di lavoro alle distrazioni, (giochi elettronici ecc. ecc. ), tutte cose che riducono in modo esponenziale la nostra motricità, cioè le occasioni per muoverci e quindi fare fatica (mettere in difficoltà il nostro apparato cardiorespiratorio e stimolare un’attività enzimatica per il risintetizzare delle energie spese, attraverso i meccanismi di risintesi energetica, ovvero, aerobico e anaerobico lattacido), sono sempre più rare.
Ecco quindi che la corsa, o qualsiasi altra forma di attività fisica, che comporti un impegno ‘’organico’’ e non strettamente ‘’muscolare’’ , ricrea determinate condizioni che stimolano la produzione di endorfine.
Cosa significa attività organica e in cosa differisce da un impegno strettamente muscolare?
Molto semplice. L’attività organica, ricollegandomi a quanto esposto prima, vuol dire impegnare i grandi apparati e alterare alcuni parametri strettamente collegati a loro. Cioè, aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e consumo di ossigeno. Il tutto protratto nel tempo.
Impegno strettamente muscolare vuol dire invece vincere delle resistenze, impegnando quasi esclusivamente le componenti contrattili (fibre muscolari) in un tempo breve. Quindi con poco impegno organico.
Questo non vuol dire che una forma è positiva e l’altra è negativa. Per carità, in un processo di ‘’allenamento’’ rivolto ad un atleta con finalità agonistiche, entrambe le cose vanno curate. Ma, immaginando che l’articolo sia rivolto a persone che, dell’attività fisica, ne fanno un mezzo per rilassarsi e per sentirsi meglio, credo che la prima sia da privilegiare rispetto alla seconda.
Quindi, chiarito in modo molto semplice il perché occorra fare attività fisica, resta da spiegare il come e il quando.
Anche qui, l’argomento necessita di alcune premesse – soprattutto per coloro i quali non hanno un passato sportivo, e si avvicinano per la prima volta (in un’età non proprio “giovanile”) alla pratica sportiva.
Bisogna tener presente un concetto fondamentale, sul quale si basa tutta la metodologia di allenamento, anche per atleti professionisti. Si chiama “supercompensazione“.
Il tema è molto complesso, perché tratta leggi metodologiche , nonché fisiologiche e temporali. Cercherò brevemente, e in maniera semplice, di chiarire la funzione di questa parola.
Qualsiasi forma di vita esistente su questo pianeta tende a mantenere una condizione di “tranquillità” (omeostasi), e, al riguardo, qualsiasi cellula vivente ha una capacità eccezionale dataci da madre natura chiamata “adattamento“.
Cioè, ogni cellula, trovandosi in determinate condizioni di difficoltà, e quindi vivendo una situazione di stress, sviluppa dei meccanismi che le permettono di adattarsi al tipo di difficoltà a cui è sottoposta, ripristinando la precedente situazione di equilibrio.
Nel nostro caso, l’organismo, messo in difficoltà da uno stimolo improvviso esterno, quale un esercizio fisico, una volta terminato, vive una situazione di difficoltà (fatica) . Ecco allora, che nella fase di recupero, l’organismo riorganizzando tutti i processi fisiologici impegnati, “potenzia” (super compensa) ogni aspetto impegnato, dando così un “miglioramento” funzionale ad ogni singolo apparato.
Tutto questo, tradotto in termini agonistici, si chiama miglioramento della prestazione. Modulando l’alternanza di questo ciclo, carico-recupero, si ottiene la famosa “periodizzazione” dei lavori, che come obiettivo ha quello del raggiungimento della “condizione di forma”, ovvero quel periodo agonistico dove l’atleta raggiunge (dovrebbe) la migliore capacità prestativa.
Perché queste precisazioni? Per il semplice fatto che ogni sforzo deve essere intrapreso previa giusto carico e recupero, in funzione delle capacità prestative del momento, altrimenti si rischia di non innescare la “supercompensazione” , creando così uno stress da “superallenamento” che comporterebbe problemi per la nostra qualità di vita.
Come iniziare a fare attività, e con quale volume di lavoro ed intensità, verrà trattato nel prossimo articolo.