Ecco, al solo guardarti, o assegno dell’assicurazione, il verso mi nasce fecondo nel cuor. E inizio il poetar:
[ads2] (O assegno), o titolo di credito che ho atteso con il cuore in mano per ben trenta, interminabili giorni!
(O assegno), O pezzo di carta filigranata, tratto su qualche mirabile banca del Paese di Bengodi, di cui ho già provveduto a erodere un pezzo del valore nominale!
(O assegno), O passepartout dagli infiniti fregi che mi consentiranno di guidare ancora il mio macinino fino al prossimo RID!
Ecco, ti ho tra le dita, dopo un mese dall’ “accetto la Sua proposta per la chiusura stragiudiziale del sinistro” e quasi non ci credo.
A malincuore ti abbandono nel palmo del cliente disidratato di turno (ce ne fosse uno con la grana!) che deve aspettare la valuta. Non ti crucciare, però, piccolino. Non sarà un addio. Ritornerai a me sotto forma di moneta sonante in ossequio al principio di Lavoisier per il quale in natura (…) tutto si trasforma.
(O assegno), O gruzzoletto sgusciante come biscia tra le pieghe del mio portafogli dopo altri quindici giorni d’attesa!
Adesso sei definitivamente mio.
A destra la montagna che serve a tappare le falle, a sinistra il topolino che già gongola per il fine settimana con la sua bella.
Il cellulare.
Mi ha chiamato l’IVA.
O fuggiasco che fosti assegno e che poi diventasti denaro sonante….ma vaffanculo!