Donna vid’io, che di bei raggi cinta
Sul libro adamantin note scrivea,
chi sei mai tu? Che scrivi io le dicea;
e fin la voce da stupore estinta.
La Storia io son, ella rispose, accinta
Ogni opra a divulgar o buona o rea,
io son maestra all’umana idea,
né mia virtude vien dai tempi vinta.
Questo di eternidade è il libro invitto,
accanto ai nomi di Traiano, e Pio,
il Nono Pio, e Ferdinando ho scritto.
Italia a te dal Ciel largito è un dono,
che compie ormai de’secoli il desio
per esso s’erga a Fratellanza un trono
(dall’Archivio Currò)
A Cura di Stefano Esposito (Articolo e Foto)
DONATO COSIMATO
ED IL CONVENTO
DELLA SANTISSIMA TRINITÀ, BARONISSI (SA)
Il Convento della SS. Trinità in Monticelli può essere considerato un punto focale per la storia del francescanesimo nella Valle dell’Irno.
Anche se le sue origini sono oscure ed è privo di testimonianze scritte, fino ad oggi, è stata tramandata una leggenda secondo cui il Convento di Baronissi fu fondato ai tempi del Santo di Assisi, ma studi e ricerche, lo fanno risalire al primo quattrocento, al tempo cioè, di San Bernardino da Siena e di San Giovanni da Capestrano .
L’interpretazione di un documento, venuto posteriormente alla luce, ha fatto nascere l’ipotesi che il Convento possa essere di origini benedettine, propriamente una “grancia” che dipendeva dal priorato Virginiano di Penta .
Il culto della Madonna di Montevergine, infatti, presente con un altare nella stessa chiesa, ed una cappelletta nei pressi della stessa confermano questa ipotesi.
Lo steso titolo inoltre, SS. Trinità, si avvicina maggiormente alla dottrina Teocentrica dei benedettini, che alla spiritualità cristologia dei francescani.
Il Seicento ed il Settecento, fu per il convento il periodo di maggiore sviluppo, opere di pittura e scultura, il chiostro quattrocentesco, e una ricca biblioteca lo rendevano altresì il maggior centro di cultura e di vita spirituale di tutto lo stato di Sanseverino.
Tutto ciò che oggi appare ai nostri occhi, è il risultato di trasformazioni e di decorazioni che hanno avuto il loro svolgimento tra il secolo XVI fino al XVIII.
L’origine e lo stile della primitiva chiesa, sono a noi sconosciute.
Con sicurezza, sappiamo che già nel Quattrocento, ed è confermato sia dalla struttura in pietra grigia,delle arcate, (materiale usato in gran parte della chiesa, ed è un ricco prodotto della zona) sia una lastra tombale, risalente alla seconda metà del secolo XV.
La pianta è a croce latina, con l’asse leggermente inclinato, ad una sola navata nella quale si aprono quattordici cappelle laterali con arcate a tutto sesto, che si susseguono ad intervalli regolari alternati da pilastri con semicolonne addossate sui lati dell’intradosso.
Al disopra dei pilastri sorge un’alta trabeazione, con un fregio liscio, ma l’architrave e la cornice ricche di modanature separano la parte inferiore da quella superiore, accentuando la linea prospettica della navata.
Al di sopra della trabeazione, per tutta la navata e il transetto, corre una transenna che unisce la decorazione dell’insieme.
di stile barocco, la chiesa domina su tutta la navata, cioè su quell’ambiente unico “racchiuso da uno scenario decorativo vivificato da effetti di luce che esaltano il rivestimento delle pareti e delle volte ”.
Nel coso del Settecento, con una manìa innovativa, venne stessa senza pietà, una mano di calce sugli affreschi della chiesa, oggi di tanto in tanto affiorano “riportano il visitatore alla ricchezza e alla vivacità perdute”.
Fortunatamente, non sono andati perduti, alcuni affreschi di Angelo Michele Ricciardi .
Molte delle opere, sono un riferimento, per la conoscenza completa dell’artista, nella sua prima esperienza ed dell’attività coincidente con la sua maturità.
Questi affreschi risalgono al periodo che va dal 1680 al 1723, questo, un arco di tempo, segnati da intervalli da opere dipinte nei conventi e nelle chiese, del Salernitano e dell’Avellinese, quali quelle di Bracigliano, Mercato San Severino, Penta, Monitoro Inferiore, Serino ecc.
Le opere presenti nella Chiesa, risalgono al primo periodo e datate 1699, precisamente sono gli affreschi delle vele della volta all’ingresso della chiesa, l’allegoria della Musica “dove tutta la forza pittorica prorompe dal ricco panneggio delle vesti e della sensibile chioma, l’espressione energica che emana dalla figura, è data dalla forza compositiva delle sue membra, entro forme ben ritmate, e dalla natura morta che con gli strumenti musicali, rappresentati intensifica il movimento della scena”.
La prima fase trova il suo apice, nel ciclo degli affreschi delle pareti, (sul lato destro uno è quasi scomparso), che raffigurano le allegorie della Giustizia, della Penitenza, della Religione, della Fede, della Fortezza, e tutte si aprono in grandi cornici monocrome.
La Giustizia, è quella che dal suo stato di conservazione può essere considerata la migliore, la cui veste, una tunica bianca, è ferma sotto il seno, da una cintura metallica, che ha al centro un diamante, per questo motivo in particolare, ci richiama l’Agar nel deserto attribuita a Francesco Solimena, e conservata nella Pinacoteca di Capodimonte.
Gli affreschi dell’abside, di notevole interesse, possiamo dare loro un ordine, in questo modo: a destra l’incontro di San Francesco con il Sultano, a sinistra San Francesco di Paola con Luigi XII (1708/ 1709) di vaste dimensioni “di vivace senso pittorico, accentuato soprattutto, dalla luce profonda, che ne accarezza le forme umane e che dà all’osservatore un’impressione di immensità”.
Al centro della volta c’è Il Trionfo della Vergine, uno degli episodi più significativi della produzione del Ricciardi, orientato verso la pittura genovese filtrata attraverso l’esperienza romana.
Dodici anni dopo, dipinse La Gloria dell’Ordine Francescano e Domenicano, esempio di quanto l’artista avesse rinnovato il suo linguaggio, sia per il perfezionamento del mezzo tecnico, sia per la vivacità stilistica.
Un linguaggio sempre più perfezionato, come si vede nell’Assunzione di Maria, datata 1721, con la quale si può considerare chiuso, il ciclo delle opere del Ricciardi all’interno del Convento.
Difficile stabilire la paternità delle opere preesistenti che di tanto in tanto affiorano dalle scalcinature, in particolar modo nelle cappelle laterali anche se anonimi, ma che “dalla vivacità dei colori, e l’elasticità delle forme” sono da attribuire ad un epoca precedente all’incendio che colpì la chiesa (1532).
Probabilmente sono da considerare più antichi, gli affreschi venuti alla luce nella cappella del Lama, di forma e struttura quattrocentesca, ornate da un grande arco che per il tufo bigio in cui è intagliato e per le nervature dalle quali sono attraversati, si avvicinano molto a quell’arte molto diffusa nel mezzogiorno, che richiama lo stile angioino.
Forse questi affreschi rappresentano la vita della Vergine, ed è interessante notare, che la cappella era interamente affrescata, compresa la volta, con un ciclo di rappresentazioni organico e completo, diviso in due scene inferiori e due scene superiori, divise da colonne con finte funzioni di sostegno dell’architrave.
Si possono annoverare tra le opere su tela e su tavola, La Madonna del Purgatorio, collocata nella seconda cappella a sinistra, opera della scuola di Andrea Sabatini, con un impianto raffaellesco, all’interno del quale la scena si compone in un ritmo raccolto; L’Immacolata tra S. Antonio e S. Francesco, del G. B. Lama, che si trovava nell’omonima cappella, opera di grandi dimensioni, la cui scena principale si apre in una cornice ovale intagliata e coperta d’oro.
Tra le figure della Vergine e dei Santi, vari emblemi ed espressioni bibliche attribuite alla Vergine.
Un’altra opere da ricordare, è S. Francesco nella Gloria del Paradiso, della scuola di Andrea Solimena, che si trova a nella parte centrale del soffitto.
Il S. Pietro d’Alcantara, e la Battaglia di Belgrado, l’autore si firma A. N. P.
Tra le opere di scultura, la lastra tombale del Cav . G. de S. Barbato, con la figura del defunto a stiacciato, con ai piedi due cagnolini,, simbolo di nobiltà, l’opera è data 1462, con la seguente epigrafe:
IULIUS EGREGIUS MILES HOC JACET IN TUMULO UO FUERAT NULL(us) PRAESTANTIOR ARMIS DE SANCTO BARBATO COGNOMEN ILLI FUIT QUI OBIIT
A. D. MCCCCLXII
L’opera che rappresenta il periodo del massimo splendore artistico del convento, è il monumento Sepolcrale del Giureconsulto G. Gajano, che riporta un epitaffio che recita:
JACOBUS DE GAJANO UTRI DOCTOR NON MINUS INGENIO QUAM ORIGINE NOBILIS EAQUE PROPTER AD REGIA OLIM MUNERA ASCITUS VIX MEDIAM AETATEM P(er) AGENS CORPUS HUIC SAXI CAELO ANIMAM DICAVIT
ANNO D.NI MCCCCXII
XII Mensis IULII
Nel convento della santissima Trinità, sono presenti opere di uno scultore contemporaneo al Ricciardi, Niccolò Fumo da Saragnano , discepolo del Fanzago, al quale sono da attribuire anche l’Assunta nella chiesa parrocchiale di Baronissi, e quella del Duomo di Avellino.
Tra le opere di questo sculture, conservate nel Convento, è L’Addolorata, scultura in legno policromo, caratterizzata “da un grandioso movimento dei panneggi” e la luminosità del volto, che esprime in modo chiaro la sofferenza.
Il chiostro del Convento, è un perfetto quadrilatero, che misura m 13 x 13, con al centro il pozzo, caratteristico dei Conventi Francescani; entrambi sono di astile quattrocentesco.
Intorno al chiostro corre un ampio ambulacro, con archi a tutto sesto, sostenuti da sedici colonne polistili; dalla diversità degli stili, il chiostro è da attribuire ad epoca prerinascimentale.
Le colonne poggiano su di uno stilobate, che si interrompe, in corrispondenza degli archi da accesso, di esse solo due hanno un plinto in muratura, poiché nell’opera di restauro del chiostro, queste due colonne risultarono più corte delle altre.
Al di sopra dei bracci del portico, si affacciavano le celle dei frati, con finestre rettangolari, fino al restauro del 1963, all’interno del quale furono riportate alla forma originale ad arco.
La parte superiore del chiostro è delimitata da una cornice in pietra grigia.
Nella penombra dell’ambulacro, si sviluppa un ciclo di affreschi risalenti alla prima metà del XVII secolo, scene racchiuse in lunette, che rappresentano la vita di S. Francesco d’Assisi.
In margine ad alcuni di questi affreschi, ci sono versi che commentano la scena.
Il pittore A. M. Ricciardi infine nel Settecento, completò la decorazione pittorica del chiostro, con la rappresentazione dei Martiri Francescani, all’interno di medaglioni, inseriti nella fascia ornamentale sottostante le lunette, e con due grandi affreschi.
Il primo dei due, rappresenta La Vergine Immacolata circondata dagli angeli, il secondo affresco del maestro, testimonia ancora oggi il martirio dei Frati francescani decapitati in Etiopia nel 1648.
Tra le altre opere conservate all’interno del convento, ci sono due tavole, che facevano parte di un polittico di epoca quattrocentesca, anche se stilisticamente trecentesca.
Queste tavole raffigurano, L’Arcangelo Michele e S. Antonio.
Da citare inoltre, la tela con il S. Bernardino da Siena, di A. Solimena; da un accurato studio, su di una scrostatura della vernice, all’altezza del ginocchio del S. Bernardino, sembra notarsi una mano di un bimbo, questo ha portato a pensare, all’uso della tela, di un altro pittore, o di una tela già precedentemente sfruttata dal Solimena.
Di A. M. Ricciardi, le uniche opere su tela sono l’Ecce Homo e l’Addolorata del 1701.
Interessanti, per la loro novità, nove pezzi di parati del 1720, dipinto ad acquerello con decorazione floreale.
L’autore è fr. Bernardo da Rametta, come risulta dal velo sul calice raffigurato su di una pianeta.
Nella biblioteca sono conservate altre opere di fr. Bernardo, le miniature dei “corali” del primo settecento.
Gli armadi della sagrestia altrettanto importanti, intagliati e decorati, con figure mitologiche che hanno sostituito quelle sacre di fr. Innocenzo da Francavilla, come risulta da un’iscrizione posta su di una cornice degli armadi:
«Est o(pus) Fratis Innocentii a Francavilla. Hoc opus fieri mandavit Admod R. P. Joannes Maria a S. Severino».