“Domani nella battaglia pensa a me, quando io ero mortale, e lascia cadere la tua lancia rugginosa. Che io pesi domani sopra la tua anima, che io sia piombo dentro al tuo petto e finiscano i tuoi giorni in sanguinosa battaglia. Domani nella battaglia pensa a me, dispera e muori”
Le parole sopra citate riportano la maledizione che il fantasma della regina Anna del Riccardo III di Shakespeare scaglia sul re che l’ha fatta uccidere. E aprono, inoltre, l’omonimo romanzo dello scrittore spagnolo Javier Marías, vincitore del premio Rómulo Gallegos e il Prix Femina Etranger. Il titolo, dunque, è di un opera Shakespeariana, ma la storia narrata si svolge nella Madrid dei giorni nostri.
Un appartamento a Madrid, d’inverno. Una donna e un uomo che si appresta, di lì a poche ore, a diventare il suo amante per una notte, e un bambino di due anni, figlio della donna, che ostacola la loro notte di sesso perché irrequieto e non vuole lasciare la madre e andare a dormire. E poi la morte. Improvvisa, oscena, assurda, coglie la donna. L’uomo le rimarrà accanto, sul letto, incapace di guardarle il viso, di scorgerne i segni della morte e l’ultima cosa che vedrà della donna è la sua nuca.
Facile, nell’era dell’individualismo, non volerla guardare troppo da vicino, la morte. Già Verga, dopotutto, nei suoi romanzi, ci ha mostrato la ben nota maniera dei suoi personaggi di morire rivolti verso il muro. Non più tra le lamentazioni e i rituali di “una morte antica”, in cui il trapasso si vive pubblicamente come le nozze, bensì in solitudine, così che i parenti non si accorgano di quanto sia grande la paura di chi li sta abbandonando.
L’uomo, il protagonista, la voce del romanzo, si aggira in punta di piedi per l’appartamento come un leone chiuso in gabbia, alla ricerca di risposte. Fa e disfa ipotesi e congetture; tenta di rintracciare con poca insistenza il marito dell’amante; prepara del cibo al bambino per quando questi si sveglierà, e poi abbandonerà la casa, portandosi via il reggiseno impregnato dell’odore di lei: “Rimane l’odore dei morti quando non rimane altro di loro. Rimane quando rimangono ancora i loro corpi e anche dopo, una volta lontani dagli occhi e sepolti e scomparsi. Rimane nelle loro case fino a quando non le si fanno arieggiare e sui loro indumenti che ormai non si lavano più perché ormai non si sporcano e perché si trasformano nei loro depositari; rimane su un accappatoio, su uno scialle, sulle lenzuola, sugli abiti che per giorni e a volte per mesi per settimane e anni pendono dalle loro stampelle in mobili ignari”. E in tutto questo fluttuare in pensieri sconnessi e paure nascoste, il protagonista ci rivela che “Il fatto che qualcuno muoia mentre tu continui a rimanere vivo ti fa sentire come un criminale per un istante”.
Ma il tema centrale di “Domani nella battaglia pensa a me” non è però la morte, anche se protagonista dell’episodio centrale, bensì l’inganno.
Non la disonestà, ma l’impossibilità di essere chiari, perché le parole e i racconti dei fatti cambiano gli accadimenti, perché quello che è passato inevitabilmente subisce l’influenza delle emozioni e viene mutato nei racconti.
“Ogni definizione è una negazione” diceva Spinoza. Nel tentativo di etichettare qualcosa, di definirlo non si riesce a far altro che a limitarlo, dunque, a privarlo di una quantità più o meno grande di altre possibilità e Marìas su questo punto sembra essere pienamente d’accordo.
Il genere umano visto come della creta morbida che attende di essere racchiusa tra mani forti e modellata. Arrivando così a prendere una forma che, una volta data, ne limita la possibilità di poterne creare altre se non soltanto “rompendo” la scultura iniziale. Tutto quello che riguarda la realtà è destinato a rimanere come una massa senza una precisa forma, un’essenza immodificabile con un’esteriorità soggetta a continui cambiamenti che finiscono per far risultare i tentativi di ottenere “concretezza”, solo vani sprechi di tempo.
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Si susseguono ragionamenti labirintici del protagonista e una serie di supposizioni angoscianti sulle persone. Ogni pensiero ossessivo dell’uomo è descritto, ripreso, fotografato e sviscerato. Talvolta alcuni pensieri sono ripresi troppe volte; si vuol dare l’idea dell’ossessione, fino a farlo diventare talvolta quasi fastidioso.
Marías è bravo a disseminare la vicenda di indizi e dettagli come in un giallo e mostrarci l’altra metà della vita, quella nascosta e dissimulata. Raccontandoci l’inganno e svelandone la macchina che esso mette inevitabilmente in moto, “Domani nella battaglia pensa a me” racconta l’illusoria realtà in cui siamo sprofondati.
Tutti destinati, secondo Marías, a vivere nell’inganno, dovuto al fatto di essere in continua trasformazione e di non poter essere, pertanto, mai le stesse persone. Un insieme di moltitudini che non può far altro che risultare, per citare anche Whitman, contraddittorio.
“Vivere nell’inganno o essere ingannati è facile, e anzi è la nostra condizione naturale […] Di quasi nulla resta traccia, i pensieri e i gesti fugaci, i progetti e i desideri, il dubbio segreto, i sogni, la crudeltà e l’insulto, le parole dette e ascoltate e poi negate o fraintese o travisate, le promesse fatte e non tenute in conto, neppure da coloro a cui sono state fatte, tutto si dimentica o si estingue”.
(Alcune parti dell’articolo sono tratte dal sito http://www.filosofiprecari.it/)