Crisi economica: troppo spesso tg e rotocalchi di settore ci ingozzano di tecnicismi economici: spread, declassazioni-rating, differenziali, tutti insieme in un bulimico vortice di incertezza che accresce i dubbi sulla vera natura della crisi e le sue possibili soluzioni. Con questa mini-inchiesta ci inoltreremo brevemente nell’intricata struttura dei mercati, rendendo partecipe il lettore nel capire come tutto ciò influenza l’economia reale e quindi la quotidianità di ogni singolo individuo.
Premessa: la crisi ha una genesi internazionale e per il raggiungimento di una soluzione duratura si necessita di interventi su scale mondiale, e non solo di sterili slogan come la “Rivalutazione e Promozione del Made in Italy”. L’attuale depressione non è paragonabile a quella del “29, essa ha natura strutturale, è indotta dalle lobby di potere, le multinazionali, che negli ultimi decenni hanno realizzato un mercato globale neoliberista, dove l’etica è solo uno strumento di marketing1.
La Globalizzazione è il fulcro: se da un lato la globalizzazione permette comunicazione e scambi prima inimmaginabili, grazie anche alle nuove tecnologie, d’altro canto il WTO -organismo internazionale garante e promotore dei trattati internazionali a sfondo commerciale- ha “colposamente” favorito solo la globalizzazione dei mercati e non dei diritti del lavoratore. La globalizzazione è quindi la pratica internazionalmente condivisa dai governi, che rende possibili intese tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo, al fine di delocalizzare le imprese con più semplicità e garanzie.
Portiamo un esempio concreto alla nostra indagine: in Italia solo una grande impresa potrà delocalizzare ed aprire una sede di produzione in Cina/Vietnam/etcc.. . In questi Paesi il costo del lavoro è bassissimo, ed i diritti dei lavoratori sono pressoché inesistenti. La nostra grande impresa, che per ipotesi produce abiti, oltre a ridurre/chiudere gli stabilimenti italiani, immetterà sul mercato lo stesso abito a prezzi molto inferiori rispetto alla piccola impresa che non può delocalizzare (non ha i soldi e le opportunità politiche necessarie). Il grande imprenditore molto probabilmente adotterà lo stesso marchio “Made in Italy”, perché la normativa vigente sancisce che il marchio di produzione lo si assume quando il prodotto subisce una trasformazione sostanziale2 (esempio banale ma che rende l’idea: in Cina fanno le stoffe ed inserti separati, in Italia si realizzano solamente decorazioni ed assemblaggio, in tal modo si ottiene una borsa d’alta moda).
La grande azienda introduce un prodotto identico a quello della piccola impresa ma ad un prezzo molto basso, il nostro piccolo imprenditore non avrà più mercato e sarà costretto a ridurre la sua attività. Ciò comporta la modifica dei regimi contrattuali dei dipendenti, contratti di lavoro full time diverranno part time qualora non subiscano un vero e proprio licenziamento per motivo economico. Un lavoratore senza reddito non sarà in grado di onorare i propri debiti, si apre così una chiave di lettura per la “crisi finanziaria” nota ai più per lo scandalo dei mutui sub-prime, ennesimo effetto e non causa dell’attuale crisi economica.
Concludiamo appurando come il suddetto schema generi a cascata una serie di eventi: lo Stato riceverà un minor gettito fiscale in ragione della diminuzione dei redditi da tassare, ergo la spesa pubblica deve diminuire quando lo Stato non ha soldi (tasse) nel portafoglio. Abbiamo così motivato i continui e deleteri tagli ai servizi, quali: salute, istruzione, wellfare e sicurezza interna, tagli dettati dal mercato e non dalla sovranità popolare. In questo scenario a giovarci sono le Multinazionali, capaci di mobilitare grandi capitali nei Paesi in via di sviluppo, quest’ultimi avranno interesse a manter basso e senza diritti il costo del lavoro, pur di non assistere alla dipartita delle grandi compagnie verso nuovi lidi dello sfruttamento (c.d. minaccia dell’exit3).
CONTINUA con la seconda ed ultima parte:
Crisi economica, cosa c’è da capire: seconda ed ultima parte
NOTE:
1 – v. il caso Nike, condannata negli anni “90 per aver pubblicizzo il suo codice etico volto a garantire standard di benessere per i suoi lavoratori, ma nei fatti mai applicato. Fonte: prof. G. Felici, Dall’etica ai codici etici. Come l’etica diventa progetto d’impresa, pag. 110.
2 – Art.24 del Codice Doganale Comunitario – Letteratura Giuridica Rivista Altalex: Marchio d’Origine, quadro normativo internazionale.
3 – Prof. D. Zolo, Globalizzazione, una mappa dei problemi, pag. 27 e ss.